The Neon Demon

Non ero completamente certa di voler scrivere di questo film. E non so nemmeno spiegare il perché. Ho adorato ogni singolo film di Refn, eccetto Fear X, ma solo perché non l’ho visto. The Neon Demon: avrei gridato al capolavoro, se solo Refn non avesse diretto anche Only God Forgives, che molti hanno considerato troppo estetico (ma non hanno capito un accidenti, perché tanti registi hanno sfruttato l’estetica e la sovrastruttura per dire altro e secondo me il cinema non serve solo a raccontare storie, ma a raccontarle in modi impossibili con altri medium – scusate, ma a cosa accidenti serve l’arte altrimenti?) ma che a me pareva di una profondità abbacinante. Faccio il paragone con il suo precedente film per una questione di superficie: sono belli da vedere. E poi? Entrambi hanno difetti e pregi, solo che The Neon Demon mi ha lasciata stupefatta, ammirata e perplessa allo stesso tempo. Premetto: gran film. Quello che scriverò di qui in poi vuole essere una lettera di ammirazione per questo horror che è di nuovo un segnale del fatto che questo genere, se ancora di generi vogliamo parlare, può tutto. Solo che The Neon Demon non è, tra gli horror recenti, quello che maggiormente gli rende giustizia (per me restano It follows e The witch).

neon-banner

The Neon Demon è un film misterioso, simbolico, che ha il grandissimo pregio di essere fortemente autoriale. Refn lo si riconosce, parzialmente come il regista dello spot di YSL con Jessica Chastain, per citarne uno e in parte come il regista di Only God Forgives, decisamente non come quello di Drive o Pusher. Non sto parlando in termini di tematiche o di sporcizia della fotografia, frenesia del montaggio o altro. Faccio più che altro riferimento alle storie e agli intrecci, alla profondità che viene lasciata intuire dietro alcuni personaggi. Forse ero troppo piccina quando ho visto Pusher (tutti e tre) e gli ho attribuito più forza del dovuto: ma i personaggi non erano abbozzati in modo sommario, ognuno di loro aveva qualcosa di fortemente suo. Di personale. Erano veri, nel loro essere così sospettosamente adatti al ruolo di spacciatore o giù di lì. E anche nel 3, dove si perde un po’ la forza dei primi due, la festa della figlia di Milo ancora resta aggrappata alla mia memoria. Milo! Invece qui la protagonista è un’evanescente proiezione dell’Idea di Bellezza e ho passato qualche giorno a pensare: a) forse non è gentile, ma Elle Fanning non è un’attrice della madonna; b) SPOILER non siamo molto coinvolti quando Jesse fa una fine orribile FINE SPOILER; c) quanto sono brave le altre attrici. E poi mi sono fermata e ho pensato: e se fosse che Refn ha deciso di renderla vuota ma così vuota che più vuota non si può perché lei è il demone e lo è sempre stato? Se fosse che la piccola Jesse non viene corrotta dal mondo della moda e dello scintillio, ma che è già corrotta? E che, addirittura, con la sua intrinseca demonicità funge da catalizzatore e scatena la crudeltà quiescente nelle altre? (E se i titoli di coda fossero volutamente il verso a una pubblicità di Dolce e Gabbana? No, questi sono imperdonabili e basta. ) Il problema è che ripensando con attenzione al film non tutto torna. Come quando ti metti a contare gli addormentamenti in Mullholland Drive (so che lo avete fatto anche voi!) e ti accorgi che non combaciano e che quindi non te ne puoi liberare dicendo “ah, ma era tutto un sogno’ e il film ti resta appiccitato per anni perché non te lo puoi spiegare, allo stesso modo cercare di far funzionare questa mia teoria è difficile: il film inizia mostrandoci Jess, una sedicenne carina e morbida d’animo, che abita in un orribile motel e mette le All Star e quanta innocenza, mentre cerca di sfondare come modella a Los Angeles. Innocenza che viene meno a un certo punto: a seguito di un rudimentale servizio fotografico, fattole come favore da un aspirante fotografo (personaggio che poi fara` la parte del bene semplice e che, infatti, verra` lasciato per strada), Jess viene invitata a una festa da una truccatrice appena conosciuta, Ruby (Jena Malone). Tutta questa sequenza iniziale, in cui Jess sta immobile sul divano, abbandonata a una finta morte in un sangue posticcio e succoso, con i lustrini che le ricoprono le guance e il pavimento che fa da specchio è bellissima e profetica rispetto alla dimensione rituale e simbolica che avrà un ruolo fortissimo nel film (SPOILER di nuovo sangue e lustrini sulle guance appariranno al momento della sua morte FINE SPOILER). C’è già molto involucro. E, quando si parte con una dimensione estetica così potente, un film deve riuscire a srotolarla e arrivare a un nocciolo, non per forza razionale, ma un nucleo di senso fortissimo che può anche essere indicibile e inspiegabile ci vuole e, anche The Neon Demon, si dispiega in qualcosa di orrorifico e potentissimo.

neon1

Jesse arriva alla festa completamente struccata, con le sue Converse, eppure tutti nella stanza si girano a guardarla come se fosse una sorta di apparizione ed è proprio qui che sembra lasciare la sua innocenza: dopo cinque minuti di scena nel bagno, in cui due modelle invidiose (Bella Heatcote, già vista in Dark Shadows e Abbey Lee, che è una vera modella nonché una delle varie mogli di Immortan Joe in Fury Road) mettono Jesse a disagio e l’atmosfera appare tossica e pesante, Ruby le mette il rossetto ed esce assieme alle altre. Qui Jesse aspetta senza muoversi finché l’altra da fuori non le dice: allora vieni o no? E Jesse sorride. Ci sono svariati micro-momenti in cui vediamo il demone di Jesse affacciarsi: nel farsi cercare, nel farsi invitare, nel fare i complimenti a qualcuno che ha appena perso un ingaggio in suo favore. E questa è sicuramente la modalità più interessante attraverso cui il demone si dispiega, però, sfortunatamente, è anche molto discontinua e sembra andare di pari passo con il fatto che lei sia truccata o meno, uno stratagemma simbolico che non ho apprezzato eccessivamente e ho trovato tagliato con l’accetta (alla stregua di Adele-mangia spaghetti-poche aspirazioni e Lea Seydoux-mangia ostriche-grande artista in La vita di Adele, che già mi aveva irritata oltremodo).

Tuttavia ci sono delle sequenze iconiche e anche potentissime: dopo la festa, Jesse inizia a essere sempre più cercata e Refn ce lo mostra in due momenti: il primo riuscitissimo, il secondo decisamente meno. Per prima cosa, Jesse viene ricevuta e fotografata da tale Jack MacArthur (Desmond Harrington)(mi è capitato di pensare se fosse un riferimento al premio MacArthur che viene dato ai super talenti della letteratura, ma probabilmente è solo una mia elucubrazione), che manda tutti fuori dalla stanza e, prima di fotografarla, nuda, la cosparge d’oro: un rituale che simboleggia una sorta di nuova nascita; il fotografo, come uno stregone, apre la strada a Jess: ora è il suo momento e quel servizio fotografico sancisce il passaggio alla nuova vita che l’aspetta.

The-Neon-Demon-2

L’altra sequenza, quella del casting per uno stilista, parte bene, procede malissimo, finisce bene; mi spiego: c’e` questa stanza bianchissima in cui decine di modelle in intimo color carne (macelleria pura, ma è esattamente così che si va ai casting) aspettano di essere giudicate. Come camminano. Quanto sono magre. Quanto sono belle. Sono tutte talmente perfette che quasi non si distinguono, fatta eccezione per Jesse, che fa commuovere lo stilista. Adesso, simbolico finché vuoi ma questo momento l’ho trovato davvero grossolano e mi è venuto il paragone immediato con la sequenza di Mullholland Drive in cui il regista (Justin Theroux) vede Naomi Watts e dice: è lei la ragazza. Che era una sequenza perfetta e geniale nella sua cinematograficità (si poteva sentire la presenza di un altro regista lì dietro, che poteva saltare fuori in qualunque momento a dire: stop, perfetta! E questo la diceva lunghissima sulla permeabilità finzione-realtà), ma qui e nel successivo discorso sulla bellezza ho sentito fortissima la volontà di descrivere un mondo di vuoti che però sono pieni di desiderio – che è un po’ la traccia del film stesso – ma ho anche avuto la forte impressione che qualcosa non andasse. Salvo poi la performance meravigliosa della modella che non prende l’ingaggio in favore di Jess, che rompe lo specchio in bagno e cannibalizza la mano di Jess, caduta sui vetri, per cui proviamo disgusto e pietà in modo inestricabile.

neon2

Fin qui il film alterna momenti altissimi e momenti meno riusciti, che ti fanno pensare: cosa volevi dirmi qui Nic? I personaggi maschili sono portali (il fotografo), stregoni (lo stilista), mostri (Keanu Reeves che strepita contro gli accendini sullo sfondo in un ruolo di gestore rabbioso-maniaco del motel che sembra un po’ l’uomo nero ma la cui furia viene sempre lasciata nell’ombra) e vengono tralasciati in favore di un universo di crudeltà tutta femminile ma sono lì a ricordarci che, nello stesso momento in cui le modelle si fanno del male a vicenda, altri personaggi stanno facendo del male a qualcun altro – e con questo Refn si assicura di non vincere la palma della misoginia, abbozzando altre realtà che non filma ma in cui gli uomini sono esseri orribili (io non mi sarei beuvta la critica motivata da spunti misogini perché non ce li ho nemmeno visti, piuttosto ci sono delle grossolanità, ma non bastano a fare del male alla bellezza del film).

La scelta di rappresentare questi vuoti propulsi dal desiderio di apparire e arrivare in cima nel mondo della moda, che da sempre si presta a questo tipo di interpretazione, è opinabile in quanto è semplice – cosa mi dici della vetrinista dell’OVS? -, ma è sicuramente vincente perché l’estetica di quel mondo si presta in modo eccellente a sequenze oniriche e lugubri che ipnotizzano (infatti io quando è finito il film non avevo ancora battuto ciglio e mi pareva fossero passati 20 minuti). E sebbene la colonna sonora un po’ forzata (Cliff Martinez, sei bravo, ma non è stata proprio una scelta sofisticatissima – fuori tema: come si fa una colonna sonora completa: The Guest) e la sequenza onirica della sfilata in cui Jesse bacia la sua immagine riflessa sia didascalica come poche, i suoni e le luci ci mettono nello stato ideale per gustarci la parte finale, che è perfetta.

the-neon-demon ending

Il terzo atto, se così possiamo definirlo, è tutto permeato da un alone stregonesco e da un’aura cupissma che tende i muscoli dello stomaco e produce angoscia: tu, che sei stato lì a goderti le lucine e le stamarrate sonore e i vestiti e i set (eh, quanta invidia), adesso sei anche costretto a subirti il terrore che Refn è in grado di mettere addosso. Jesse, spaventata dalla figura del gestore del motel (il buon Keanu) chiama Ruby (la make-up artist) e si fa ospitare. Ruby abita in una casa enorme, dove ci sono dei grossi felini imbalsamati e allora iniziamo a sentirci male: il felino che aveva fatto a pezzi la camera di Jesse al motel era forse un presagio di qualcosa di orribile che stava per accadere e ora siamo sulla soglia di un film di Jacques Tourneur? E poi Jesse sembra alludere a qualcosa di romantico, Ruby tenta di baciarla, Jesse si ribella e Ruby tenta di stuprarla e questo rifiuto innesca una catena di eventi terrificanti, prima tra tutti la scena di necrofilia che avviene sul luogo di lavoro diurno di Ruby (un obitorio), difficilissima da guardare e che risulta agghiacciante anche per la sicurezza con cui la truccatrice controlla di essere rimasta sola e chiude la porta a chiave, come se l’avesse già fatto prima. Arriviamo alla sequenza successiva tesi e spaventati, mentre una Bella Heatcote mai parsa così scheletrica prima, attende nell’ombra Jess. Tutta la parte dell’inseguimento e del sacrificio della giovane modella e vergine sono terrificanti e durissime e questa è la parte del film che maggiormente richiama Suspiria, dove si avverte fortissima la dimensione sabbatica che sottende i rapporti tra Ruby e le due modelle che Jesse aveva incontrato alla festa che apre il film. Le streghe cannibalizzano Jesse, mangiano la sua bellezza, la sua ambizione, il suo demone interiore, ma solo una di loro sarà capace di assimilare – in senso alimentare anche – il suo ruolo.

Ah, la digestione

Ah, la digestione

Quindi sì, The Neon Demon è un gran film e un grande horror. Tuttavia per Refn lo vivo come un piccolo passo indietro – rispetto ai miei gusti -, per cui la dimensione intima dei personaggi che veniva schiaffata in faccia allo spettatore tramite l’estetica qui mi pare invece nascosta, se non annullata, dall’estetica stessa e quando andrò con la manina a ripescare un Refn per una visione nostalgica so già che le mie dita sfileranno un titolo diverso, tra le coste dei dvd.