Snowpiercer

Datemi Ed Harris e sarò felice (lui ha fatto rivivere Jackson Pollock e, perciò, tendo ad aspettarmi qualcosa di magico e mistico da lui). Datemi Tilda e il film inizierà ad assumere, ai miei occhi, un’aura underground-fantastica-profonda-bizzarra.

Bisogna partire dal dato di fatto che Snowpiercer è sì un film sud-coreano, ma non è il genere di cinema coreano cui sono abituata: non è il vellutato Wong Kar Wai (che non era propriamente sé stesso nemmeno lui in The Grandmaster), non è il sofferente e truce Kim Ki-Duk, non è Red Family (di Lee Ju-Hyoung, film che, anche se tutti lo ignorano, ha vinto il «premio Mirigoround» al TFF 2013) e non è il macabro e contorto Chan Park Wook. Ma, a modo suo, costituisce una sintesi rispetto a questo cinema e fa un uso sapiente e artistico dell’amplissimo bugdet a disposizione.

Snowpiercer risente, in modo largamente positivo, dell’influenza di uno dei produttori, Chan Park Wook, autore di capolavori come la trilogia della vendetta e, recentemente, Stoker (che, come si intuisce dalla recensione del film stesso, ho grandemente apprezzato). Sicuramente il film è di Bong Joon Ho, ma è piacevole intravedere, di tanto in tanto, l’influenza di una tradizione cinematografica che è tra le migliori del momento (almeno per quanto mi riguarda). Snowpiercer è a un primo livello intrattenimento: le scenografie sono spettacolari e il richiamo ad alcuni elementi degli anime è molto apprezzabile.

Nel 2014 il surriscaldamento globale, aggravato dal continuo inquinamento di natura antropica, causa una glaciazione globale e costringe i pochi superstiti a fuggire a bordo di una locomotiva che è una novella arca di Noè, che rappresenta l’unico mezzo per continuare a vivere sulla Terra, che, però, resta segregata all’esterno. E, per alcuni di questi sopravvisuti, per diciotto anni, la Terra non sarà che un vago e doloroso ricordo. Si tratta dei passeggeri della sezione di coda, che un’autorità non meglio specificata, un uomo di nome Wilford (Ed Harris), il proprietario del treno, ha relegato al buio e nel sudiciume sulla base di criteri di selezione quantomeno inspiegabili. Probabilmente ad personam (come se non ne avessimo già abbastanza di tipi così).  Quando li incontriamo, questi uomini e queste donne sono ridotti in condizioni pietose, sotto il punto di vista fisico quanto quello mentale, costretti a nutrirsi di gelatinosi blocchi di proteine. É in queste condizioni che il seme della rivolta si sviluppa, animato da Curtis (Chris Evans), un giovane uomo combattivo e dallo sguardo fiero e Gilliam (John Hurt), un vecchio saggio che ha una protesi al braccio e una alla gamba. Per metà film, non vediamo altro che la sezione di coda: ci identifichiamo con i suoi abitanti, parteggiamo per loro, pianifichiamo l’attacco e ci arrabbiamo furiosamente quando i membri della sezione di testa e della sicurezza gli infliggono sofferenze e soprusi e combattiamo al loro fianco nella traversata verso la testa del treno, in cui i passeggeri sono accompagnati dall’esperto di sicurezza e apparente tossicodipendente Namgoong Minsu e da sua figlia Yona. Le sequenze girate nella sezione di coda sono caratterizzate da tinte cupe e lugubri e, assieme alla sofferenza dipinta sui volti delle persone ricorda I mangiatori di patate di van Gogh e i colori di Delacroix: si tratta di una fotografia (Hong Kyung-pyo) stupenda, fortemente intrisa di una tristezza così forte da risultare poetica. Questo effetto si deve anche al fumetto originale di Jean-Marc Rochette, alla cui estetica il fotografo è rimasto molto fedele.

SnowpiercerGN

Rappresentate di Wilford è Mason (Tilda Swinton), una creatura bizzarra e caricaturale, di una crudeltà pungente e vivida e, allo stesso tempo, ridicola. I personaggi dotati di questa vitale e multiforme stranezza sono sempre i più inquietanti (pensate a Grace Zabriskie in Cuore selvaggio) e Mason non fa eccezione, con la sua pelliccia viola, i discorsi metaforici sul «treno della vita» e le movenze scattose, soprattutto quelle della mano che, inquadrata più volte mentre impegnata in gesti secchi e decisi, ricorda, frammento per frammento, una serie di manifesti politici. Il personaggio interpretato da Tilda Swinton è un po’ Crudelia e un po’ creatura strisciante, una burocrate leccapiedi e tagliagole dalla natura viscida e subdola, una caricatura raccapricciante di chi sta attorno a chi ha il potere, di chi ci ha in pugno.

TILDA

In questo film la tradizione orientale emerge con forza solo tardivamente e vi sono alcuni gesti quasi iconici che scandiscono questa natura: il congelamento del braccio del padre disperato interpretato da Ewen Bremner (che per me sarà sempre Spud), il combattimento scenografico contro i boia senza volto a metà treno, l’invito di Gilliam fatto a Curtis a tagliare la lingua a Wilford, che non poteva non ricordarmi Oldboy e, probabilmente, costituisce un omaggio al grandissimo Chan Park Wook.

COmbatSN

Snowpiercer è a un primo livello intrattenimento: le scenografie sono spettacolari e il richiamo ad alcuni elementi degli anime, oltre che al fumetto originale, è molto apprezzabile. Ma molti sono gli spunti di riflessione: il treno è sia una metafora della vita, quanto una metafora di come sta girando il mondo, in cui quelli del vagone di coda aumentano mentre quelli del vagone di testa sperperano le loro ricchezze in feste e lusso innecessari (colgo l’occasione per citare il meraviglioso Paolo Sorrentino, che l’Oscar per me l’aveva vinto nel momento in cui La grande bellezza è stata pensata) che piuttosto che dividere equamente i beni a disposizione, creano un divario incolmabile con la scusa di dover mantenere un equilibrio, come fanno con l’acquario che si trova a bordo del treno. Ogni pezzo è al suo posto e nessuna posizione può rimanere scoperta. Questo porta a un ulteriore livello di lettura, quello dello sfruttamento dei paesi in via di sviluppo, che vengono fatti restare tali per un meccanismo di comodo, rappresentati dal bambino nero che fa girare gli ingranaggi della locomotiva, perché è l’unico sufficientemente piccolo da stare in quel posto. Il film si focalizza anche su quello che è un altro tipo di equilibrio: quello interno all’essere umano. Come Namgoong Minsu inizialmente sembra solo un esperto di sicurezza tossicodipedente e finisce per rivelarsi un genio (la droga raccolta gli serviva come esplosivo) e un eroe (sacrifica la sua vita per difendere ciò in cui crede), così Curtis, da subito inquadrato come un coraggioso eroe, rivela di essersi abbassato ai più infimi livelli per ragioni di sopravvivenza molti anni prima, quando era da poco sul treno. Snowpiercer non lascia scampo al mondo, ma, soprattutto non lascia scampo all’umanità: solo una sincera ammissione di colpa potrà salvarci dal drammatico destino che ci stiamo costruendo.

snowpiercer

Una flebile speranza si apre alla fine del film, l’avvistamento da parte di Yona di un orso polare rappresenta la vita, proprio come la sopravvivenza della ragazzina di Red Family: si tratta di una speranza combattiva e coraggiosa di cui questo film, che si inserisce a pieno titolo nella tradizione cinematografica contemporanea coreana, si fa portavoce.

 

2 pensieri su “Snowpiercer

  1. Ho amato ogni singolo fotogramma di questo film.

    Percorrere tutto il treno per raggiungere la libertà anche a costo della vita.

    Magnifico Ed Harris nel ruolo di Wilford.

    Stupendo quando rivela a Curtis (a Chris Evans interpretare capitan america gli ha giovato molto di più dell’interpretare la torcia umana, e non solo dal punto di vista economico)che Gilliam era complice consenziente di tutto ciò che accadeva nella sezione di coda.

    Sensazionale la sequenza finale con l’orso polare.

I commenti sono chiusi.