Saving Mr. Banks

Il film di John Lee Hancock è uno dei capolavori del 2014, perché costituisce uno di quei rari esemplari dove il successo a livello di pubblico e la indiscutibile qualità del film vanno di pari passo. Non che tutti i film che ottengono un largo consenso siano di basso livello (vedere Hugo Cabret per credere, o qualunque film di Scorsese), ma dopo una serie di Una donna per amica, Tutta colpa di Freud e altre atrocità (non li ho visti, ma sono sicura che sono pessimi e non ho intenzione di ricredermi) tutte in programmazione nelle sale più grandi e i vari All is Lost, Il violinista del Diavolo, Dallas Buyers Club, Inside Llewyn Davis relegati in delle microsale delle dimensioni di quei tristissimi pulmini che portano in gita i vecchini dell’ospizio, Saving Mr.Banks è una sana boccata d’aria fresca. Primo, perché dopo tre settimane di tenitura è ancora in programmazione nella sala 1 del Nazionale di Trieste, ovvero: c’è spazio e c’è respiro e, così, ho potuto cambiare posto tre volte (c’erano troppi mangiatori di popcorn, per cui, alla fine, mi sono dovuta adeguare e, a un certo punto, si è verificata una sorta di adattamento al croc croc e allo smascellare, probabilmente a opera dell’uomo seduto a due file di distanza, con in grembo una porzione jumbo di pop-corn, una specie di one man show dello sgranocchiamento) e far finta di essere in sala da sola. Secondo, perché è un film in cui si ride e si piange (anche se non convulsamente come in In Bruges) e in cui tutti possiamo ritrovarci. E, ogni tanto, lasciamo che Hollywood riesca in quella che è la missione assoluta del cinema hollywoodiano: farci immedesimare, fagocitarci e accoglierci in un morbido abbraccio, ma, soprattutto, farci sognare. E, perciò, terzo: Saving Mr.Banks è anche un piacere per gli occhi, perché la regia ben orchestrata fa del film un’opera scorrevole e ben ritmata, dove la storia è tutta giocata su raccordi tra presente e passato e, negli illuminanti flashback che ci narrano l’infanzia di Pamela L. Travers, ho trovato una cura per i dettagli che definirei strabiliante.

É proprio nel passato dell’autrice di Mary Poppins che, dopo averla brevemente conosciuta nell’incipit ed essere subito rimasti incantati dal suo temperamento combattivo, possiamo davvero accedere a una posizione di osservazione privilegiata. É nel passato, insomma, che ci viene concesso di conoscere la storia di Mary Poppins e, di conseguenza, anche quella della sua autrice, che considera il personaggio da lei creato come la sua famiglia. Attorno a questo concetto ruota tutto il film, poiché la «signora Travers», come esige di essere chiamata, difenderà la sua creatura fino allo sfinimento (altrui), quando inizierà a lavorare sull’adattamento cinematografico assieme a Walt Dysney, un uomo a dir poco fatato ed elegantemente frizzante e le cui creazioni lei considera «stupidi cartoni».

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A questo punto, quando il rapporto si definisce come un’inevitabile tirannide le cui leggi sono marchiate a fuoco (incise su nastro, ma con veemenza) dalla scrittrice, ammetto che ho iniziato a provare un certo fastidio per Emma Thompson stessa, che era talmente brava nel ruolo da fondersi totalmente con il personaggio. La sua P.L. Travers assomiglia a una bambina con un disturbo oppositivo-provocatorio (direi che si spiega da sé) la cui borsa, che è palesemente la borsa di Mary Poppins, contiene una quantità esorbitante di tubetti contenenti varie tipologie di pasticche che azzarderei a supporre essere rimedi contro l’insonnia, calmanti, eccetera.  É, in sostanza, la borsa di Mary Poppins edizione nevrotica. Eppure, nonostante le continue lamentele e l’ostracismo per le idee altrui, una stupita tenerezza inizia ad annidarsi nello spettatore e cresce durante la visione del film, con alcuni picchi indotti dall’apertura della donna nei confronti di Ralph, il suo autista (un indimenticabile Paul Giamatti) e nei confronti di Topolino, nel cui morbido abbraccio trova consolazione durante un momento di profonda tristezza e con cui nascerà una sorta di sodalizio. Ovviamente, senza raccontare l’intero film, che è lungo e segue con precisione la lavorazione della sceneggiatura di Mary Poppins, arriva anche un punto di svolta che permetterà che la magnifica opera che è Mary Poppins come tutti lo conosciamo prenda vita.

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La svolta è opera di Walt Disney, «Walt», come desiderava essere chiamato, i cui panni sono indossati da un Tom Hanks che mi sembra abbia ripreso a vivere, cinematograficamente parlando (non che abbia interpretato ruoli particolarmente scadenti negli ultimi anni): sembrava aver ritrovato una scintilla che non notavo in lui da tempo, o, forse, è cambiato il modo di guardare alle sue interpretazioni. Eppure mi sembrava proprio il Tom Hanks di una volta, quello che quando ero bambina mi faceva sognare con il suo sorriso gentile che il mondo fosse un posto in cui era bello vivere.

Walt Disney e P.L. Travers, il cui vero nome era Helen Goff, condividono un passato doloroso, in cui il padre ha giocato un ruolo fondamentale. Elias Disney viene dipinto come un uomo molto duro e severo e il rifiuto di farsi chiamare «signor Disney», perché «il signor Disney era mio padre, io sono Walt», assume un senso molto più pungente proprio a questo punto del film. Il padre della scrittrice, invece, era un uomo amorevole, fantasioso, creativo e avventuroso: Travers Goff (Colin Farrell) era il padre che tutti avrebbero desiderato. Ma anche lui aveva un lato oscuro e la preoccupazione per il lavoro che svolgeva in banca lo spinse verso la depressione e l’alcolismo, una dipendenza che lo portò a compiere gesti drammatici di fronte alla famiglia e, infine, alla morte. Aprendosi e raccontando il suo doloroso passato, dopo un volo di 11 ore verso l’Inghilterra, Walt Dinsey fa crollare il muro di durezza e di dolore che Pamela Travers si era eretta attorno nel tentativo di sistemare le cose con i suoi libri, di non deludere suo padre, di mantenere la promessa della zia che era arrivata, durante la malattia di Travers Goff, a sistemare tutto, ma, con la morte dell’uomo, agli occhi di Helen aveva fallito. Proprio alla zia, che da Travers veniva descritta come una strega che arrivava con il vento dell’est, è ispirata la figura di Mary Poppins, in tutta la sua anti-frivolezza e il suo piglio allo stesso tempo deciso, fermo e dolce.

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I raccordi con il passato sono studiati alla perfezione, pilotati dallo sguardo di Emma Thompson rivolto al cielo o fuori dalla finestra o dal finestrino dell’aereo e, da subito, ricordano il film che è ormai parte dell’immaginario collettivo. La tata che Helen e la famiglia devono lasciare all’inizio del film, quando devono spostarsi perché il padre ha perso il lavoro, è quasi identica alla cuoca di Mary Poppins e lo sguardo della madre di Helen (Ruth Wilson) ricorda con forza quello di Winnifred, la mamma del film. Questi e molti altri dettagli fanno di questo film un’opera indimenticabile, una storia commovente e divertente e un omaggio a due artisti che hanno reso la vita di tutti noi un po’più speciale.

Il passato non può essere cambiato, ma può essere risolto e si può dare vita a qualcosa di bello a partire da qualcosa di triste, di terribile con la fantasia: Walt Disney ha creato alberi (come lui stesso fa notare nel film), animali straordinari, personaggi magnifici che sono stati i migliori amici di buona parte di noi durante l’infanzia (e non solo) e P.L. Travers ha fatto apparire Mary Poppins, che ha continuato a far vivere con sempre nuove storie. É proprio la sintesi tra i due artisti che ha reso possibile salvare il Signor Banks e, in ultima analisi, anche la signora Travers e questo prende corpo in una delle sequenze più belle del film, in cui il co-sceneggiatore, il paroliere e il musicista (tra cui figura anche un adorabile Jason Schwartzmann) iniziano a recitare e suonare quella che sarà poi la scena finale di Mary Poppins, in cui il signor Banks anziché far mettere in banca i due penny al figlio li usa per riparare un aquilone e tutti cantano e ballano (in entrambi i lungometraggi) e non si può non ridere e piangere allo stesso tempo, perché, ammettiamolo (e per dirlo io, che se un film non finisce come Niente da nascondere – e mi riferisco al «vero» finale – non sono contenta), ci sono casi in cui il lieto fine è vitale, soprattutto quando, come per Disney e la Travers è vero.

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2 pensieri su “Saving Mr. Banks

  1. Lo ammetto, mi è piaciuto. Non è il classico film che rientra nelle mie corde (anche se, faccio outing, amo Myazaki e qualunque cosa la pixar abbia creato dal giorno della sua fondazione) ma questo film, pur essendo concepito come la classica pellicola per tutta la famiglia, tocca corde dell’animo umano e lo fa senza voler essere a tutti i costi smielato.

    La signora Travers meriterebbe di essere mandata a quel paese in ogni singola scena, ma come hai perfettamente descritto, nasconde un’infanzia difficile e ne è chiaramente ancora segnata.
    Non sono uno che prende per oro colato tutto quello che si dice, o si legge in giro, ma pare che Walt Disney fosse tutt’altro l’amabile uomo che dava l’impressione di essere.

    Non mi riferisco alle presunte simpatie filo naziste per il loro cinema alla fine degli anni 30…. in fondo, a parte Chaplin, molti americani vedevano (a torto) nei regimi italiano e tedesco, la sola vera opposizione ai bolscevichi….
    non mi riferisco al fatto che fosse un fumatore incallito (cosa appena accennata nel film).
    Pare che Disney fosse sì un Grande Creatore di sogni ma che coi suoi dipendenti fosse molto intransigente.
    Era sicuramente un personaggio come molte luci, ma anche con alcune ombre e tutto questo, nel film, non viene minimamente affrontato.

    Metto la mano sul fuoco che la signora Travels fosse davvero l’acidume fatto a persona (anche se io la vedo più come un’autrice che vuole solo tutelare le sue opere)ma mi riesce difficile credere che Walt Disney avesse la pazienza di un Santo.

    E’ forse l’unica pecca di un film che mi è piaciuto, che a tratti mi ha anche emozionato (sono cresciuto coi cartoni animati di Walt, prima di scoprirne altri quindi da piccolo la messa in onda di Mary Poppins era un Evento), e che consiglio di vedere e rivedere.

    Mi chiedo però se davvero sia andata come nel film per filo e per segno…

    • Mah guarda: per me Disney qui e` un personaggio narrativo, e quando ho visto il film non mi sono posta eccessivamente il problema sul suo personaggio. Sicuramente questo film pretende di essere un biografico, ma il personaggio in questione qui e` Mary Poppins e se il film in realta` esaurisce abbastanza bene il personaggio di lei, che e` piuttosto controverso e profondo, credo che las’eptto su cui si concentri maggiormente sia proprio l’opera in se`. Che poi, non mi stanchero` mai di riperterlo, io in Mary Poppins ci vedo richiami alla morte in una sequenza su tre, ma forse queste sono turbe mie!

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