The Green Inferno

Allora. Impopolare finché vuoi, ho deciso di schierarmi dalla parte di Eli Roth. Non ho intenzione di far apparire The Green Inferno come qualcosa di utile, interessante, intelligente, nuovo (una delle locandine assomiglia pure a quella del centipede, dai). Né sono qui per sottolineare quanto gore ci sia, o per dire che Eli è sempre lo stesso, quello di Hostel, quello di Cabin Fever, che The Green Inferno è un buon horror eccetera eccetera. Non è così. Ciononostante, The Green Inferno viene attaccato per una serie di motivi che sono quelli sbagliati. E io mi sto stancando di leggere pezzi di rececensioni (pezzi perché dopo dieci righe ci si ripete e io sbadiglio) che dicono a) sempre le stesse cose e b) criticano il film per una serie di motivi che secondo me non stanno né in cielo né da nessun altra prte. Ma questa è solo la mia opinione e, dato che il blog sono fatti per contenere opinioni e ci dobbiamo beccare la qualunque, allora eccovi la mia. E, se non vi piace, fate come faccio io: la crocina rossa in alto a destra può fare miracoli.

Cose che fanno pena di The Green Inferno:

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– La recitazione: non c’è un attore che non sia una cane (tranne gli indigeni, che spaccano un sacco, per estetica e recitazione), compresa la povera moglie di Eli Roth, Lorenza Izzo (che vi beccherete in ogni film di ER così come Sheri Moon con i film di Rob Zombie, che comunque accanto a questa tizia qui pare Emanuelle Riva ai fasti di Kapò). Per tutto il tempo ho l’impressione di assistere alla prima prova: tutti sembrano un po’ nervosi, magari con le mani sudate, sarà l’entusiasmo ansioso del principiante. E invece ce li dobbiamo tenere così come sono
– La fotografia: la fotografia è il Male. La peggio camera a mano, una di quelle che la vinci con i punti del LIDL, che ci sono dei momenti da teen drama che però paiono stralci di una soap del terzo mondo (tra immagine con i colori da foto kodak fatta con la macchinetta usa e getta di quelle che puoi anche usare sott’acqua e sviluppata dallo stagista del negozio di fotografia al suo secondo giorno di lavoro e recitazione da “faccio la faccia da mal di pancia per fare capire che sono angosciata e interessata dal problema X”).
– “a me interessano i problemi della donna in Africa”: qui sono quasi caduta dalla poltrona del cinema. La protagonista, Justine (Lorenza Izzo, appunto), decide di unirsi a un gruppo di attivisti per i diritti della foresta pluviale perché a lezione sente parlare di infibulazione e si prende malissimo. Punto 1: la professoressa parla dell’infibulazione con un qualunquismo e un’imprecisione atroci (tipo “si pratica nel posto X, nel posto Y, e qui e là, liquidando l’argomento con una velocità improbabile), che rimbalzano il suo “mio papà è avvocato dell’ONU, potrebbe fare qualcosa” cui noi già non sappiamo come reagire perché come puoi arrivare all’università e ignorare problemi di tale enorme portata? Quindi, quando cinque minuti dopo, il capo degli attivisti le chiede a cosa sia veramente interessata, lei dice: i diritti delle donne in Africa! Capiamo subito che il personaggio è costruito con la solidità di una partita a Shanghai. Qui mi ricollego a un’altra cosa che fa pena:
– la critica sociale. Che funziona e non funziona. Mi spiego: dare addosso agli hipster cretini che fanno le cose a caso ci sta anche, ma non così, non in un modo così apertamente sguaiato, per cui lei, che parte da povera rincoglionita, diventa l’unica vera rivoluzionaria che mente sulle torture subite dagli indigeni pur di salvare la foresta. C’è tanto pressapochismo. A secchiellate. E anche il fatto che il capo degli attivisti sia in realtà un venduto che sacrifica il bene della foresta per i soldi e da lì inizia a delinearsi come vero e proprio essere mostruoso (quando stanno per torturare Justine lui dice “meglio per noi, così abbiamo più tempo”) tipo cattivone da fumetto è abbastanza ridicolo a livello del disarmante: quante fonti di malvagità possono coesistere? I cannibali – che sarà cultura finché vuoi ma si divertono e non risparmiano il dolore a nessuno-, le multinazionali, lui, l’ONU pure, perché rimaracando il fatto che se ne fotte dell’infibulazione perché “non è semplice intervenire” ci fa una pessima figura e, insomma, sono tutti brutti e cattivi tranne la povera Justine.
Detto questo, io mi sono divertita. E mi sono divertita proprio nella misura in cui mi aspettavo tutte queste cose. Nessuno ha mai venduto The Green Inferno come un capolavoro horror, il film esiste da due anni e le aspettative che avevo erano anche inferiori. Eli Roth: Cabin Fever era una promessa. Hostel era divertente e osava e mostrava svariati etti di budella, più genitali maschili di stronzo perverito gettati in pasto a un pastore tedesco. The Green Inferno sicuramente non ha il guizzo di CF, non fa ribaltare lo stomaco (così vuole la tradizione) come Hostel (che comunque era più marketing che altro, con i sacchettini per il vomito fuori dalla sala che facevano scena, ma alla fine li hanno usati solo in due nella sala in cui ero io ed è la stessa cosa del Top Spin: se sai che starai male, non ci andare e non rompere), sicuramente non ha la potenza di Cannibal Holocaust, cui palesemente Roth si rifà alla grandissima, ma è pur sempre di Eli Roth che stiamo parlando, questo tizio qui:

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Ed è esattamente questa la faccia cui pensiamo mentre vediamo The Green Inferno. E questo lo penso perché:
– Le gag stupidone come: quella della vegana con l’attacco di diarrea che si aggrappa alla gabbia di legno e soffre e si scusa; quella in cui la vegana, che crepando di fame mangia una ciotola di carne che pare essere di maiale, si accorge di essere stata invece sfamata con carne umana e rompe la ciotola e si taglia la gola con un coccio e, immediatamente successiva e collegata, la trovata geniale per cui i compagni di viaggio la imbottiscono di erba così da stordire i cannibali quando la mangeranno sono tutte Eli Roth. Lo stile è suo e la scanzonatura per cui dici “che coglione” e ridi allo stesso tempo mi dispiace ma non sono trovate alla Scary Movie, queste idee qui, queste cretinate, le puoi pensare solo se ti sei visto tutta l’exploitation possibile e immaginabile e se sei exploitation tu stesso. Sono cazzate consapevoli ed è questo l’unico motivo per cui funzionano. I cannibali in fame chimica che sbranano vivo uno degli attivisti mentre fugge sono un tocco di classe, sempre nella piscina delle scemate.
– Le interiora: secondo me se ne vedono a sufficienza. O meglio, ovvio che non ci sono “palle grigliate” (come qualcuno si aspettava) o cose simili, ma, a volte, non è obbligatorio che il 90% del film sia gore, quando si fa la scelta consapevole di aggiungere un dettaglio agghiacciante che resta parzialmente fuori scena. Mi spiego: quanti film d’autore avete visto in cui qualcuno veniva torturato fuoricampo? E quante volte avete detto: che scelta saggia – è ancora più agghiacciante. Ecco, posto il fatto che il buon Eli tutto è tranne che un autore e che la cosa positiva è che non vuole e non tenta di esserlo, sicuramente non è un totale sprovveduto e ha sacrificato pate del minutaggio dedicato alle torture con la preparazione di una tortura rituale di cui il solo nome fa accapponare la pelle: l’infubulazione. E vedere la povera Justine tutta pittata di bianco, con una brutta acconciatura, appesa per braccia e gambe lì lì per essere mutilata lassotto, non so, a me ha fatto abbastanza tendere le pareti dello stomaco (che invece erano più che rilassate durante il resto del film). Okay le femmine e l’immedesimazione, ma qui si va su un terreno tutto diverso e più intimo e Roth sa benissimo che un paio di palle grigliate gli valgono l’applauso e il lancio di pop-corn e le grida entusiaste del pubblico giovane raga, ma quella sequenza lì, invece, gli è valsa il silenzio di tomba. E, hei amici giovani raga, nell’horror questa è una cosa cui i registi aspirano e si chiama tensione. Fermo restando che The Green Inferno non è un bel film, non lo sarà mai ed è pieno di difetti.

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Il problema non è che il film è brutto o che venga criticato, perché di motivi ce ne sono. Ma quelli che lo criticano dicendo che Eli Roth si è rammollito o che è peggiorato non li capisco: Eli Roth è peggiorato subito dopo Cabin Fever e non so cosa possa spingere a pensare “Hostel > The Green Inferno”. Io mi aspettavo una visione chiassosa e divertente, niente di illuminante né gore come se piovesse. The Green Inferno è solo un film di exploitation come tutti gli altri, facciamocene una ragione.

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