Gone Girl

Questo film mi è piaciuto come pochi nell’anno passato – pochi di quelli in uscita. In realtà, fibrillavo, accidenti, perché Fincher mi ha regalato una serie di film impeccabili o quasi che, negli ultimi anni, mi hanno inquietata a dovere, riuscendo dove molti altri hanno fallito. Gone Girl è un misto tra Zodiac e Seven, ma, tra la traduzione italiana del titolo e il trailer proposto al nostro pubblico, sembrava più qualcosa alla Harry ti presento Sally. Io già me le vedo, le coppie annoiate che si parano davanti ai cartelloni dei film in programmazione al multisala e si chiedono: cosa vediamo? Optiamo per quella simpatica commedia romantica dal titolo country-nostalgico. Ah si, sembrava carina dal trailer. No, cazzo. No. Ragazzi, per favore, qui la faccenda inizia a farsi seria: smettiamola di tradurre i titoli, per favore. Oppure siate pedissequi. La ragazza scomparsa. Perché l’Amore bugiardo sembra che sia una storia di una coppia che non regge la pressione di un problema a caso – tipo la crisi, dato che nel film c’è – e attraversa un sacco di problemi per poi fare fronte comune e ricongiungersi. Che, paradossalmente, è esattamente quello che capita. Se non fosse che c’è tutta quella parte centrale che rende le tre righe qui sopra totalmente insignificanti. Se non fosse che c’è Amy, soprattutto.

Ma, dato che a volte un trailer vale più di mille parole, andate a vederlo su youtube e, se volete la prova che si può pervertire totalmente l’anima di un film mettendo pezzi dello stesso in una forma diversa da quella del film, ecco un esempio spassoso: https://www.youtube.com/watch?v=Os6raCCmAFk.

Comunque, David Fincher è uno che sa il fatto suo e, se da subito capiamo che c’è qualcosa che non va, è tutto merito della cupezza della fotografia, della bizzarra monoespressione del personaggio interpretato da un sorprendentemente adatto Ben Affleck (Nick Dunne) e dai tappetini sonori che fanno l’effetto di una doccia che ogni tanto ti spara uno schizzo gelido a opera della magica coppia Reznor-Ross, che già aveva fatto quel magnifico lavoro con i titoli di testa di Millennium, altro tocco di classe accapponapelle fincheriano.

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sequenza tocco di classe fincheriana che richiama tantissimo Zodiac

Ma lasciamo che sia la trama – tratta da un libro che mi ritrovo costretta a dover leggere, visto che il film mi ha spedita letteralmente in orbita estatica – a condurci laddove la regia esplode in frame da mandibola che fa un fracasso apocalittico dalla potenza con cui cade a terra. Non sto scherzando. Qui c’è odore di genio.

Amy e Nick sono sposati da cinque anni e lui la disprezza, Fincher ce lo dice subito tramite un dialogo tra lui e la gemella – un espediente che verrà spesso utilizzato per spiegarci un sacco di torbidume e cose che, altrimenti, non avremmo modo di venire a sapere. Nick la disprezza a tal punto da non sembrare eccessivamente scosso quando Amy scompare improvvisamente. Anzi, si mette a enumerare i di lei difetti e a ragionare sul fatto che è proprio il tipo di persona che attira questo genere di cose. Bene. Noi tutti ci immaginiamo Amy come una specie di creatura deviante e castrante e, quando è la sua voce a raccontarci la storia, pagina per pagina, ci troviamo destabilizzati. Il ritratto che emerge è quello di una donna sensibile, intelligente, brillante, una che, se sparisce, il marito si dispera e, soprattutto, la storia inizia come una delle meglio storie d’amore di sempre, sulla carta. Ci sono proprio questi dieci minuti, o poco più, in cui l’idillio ci rapisce – se andate a vedere il film con qualcuno probabilmente vi guardate con il cipiglio di chi sta per dire: ma che, Fincher s’è messo a fare romcom? – ma è un grave errore.

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Due che non sembrano volersi rovinare la vita a vicenda

Gone Girl non è una romcom e Fincher è un maestro del thriller e ci sono delle chicche nel montaggio come quella che unisce il flashback sul loro primo bacio alla scena in cui a Nick viene prelevato del DNA proprio dalla stessa bocca con cui aveva baciato Amy. E anche Nick commette, da subito, un grave errore (oltre alla pletora di cazzate con cui il suo personaggio si destreggia a dir poco malissimo): Amy non è una donna dolce e innocente. No, Amy è una donna con due genitori illustri ma pessimi che hanno corretto tutti i suoi errori in una collana di libri illustrati dal titolo Amazing Amy, dove hanno rimpiazzato la Amy originale, pezzo per pezzo, con una versione nuova e migliorata. Mitica. Già dall’inizio abbiamo uno scorcio sul making of di Amy.

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E ancora di più ci dispiacciamo, perché questa povera giovane donna è scomparsa, hanno trovato un litro e oltre del suo sangue in cucina (che nemmeno io con i peggio incidenti domestici di cui sono capace) e i genitori mettono in piedi una campagna mediatica in pieno stile Amazing Amy, il marito ha un’amante che è come mangiarsi la girella del discount anziché la Sachertorte (allora: Amy è proprio la Rosamund Pike di La versione di Barney e ha una classe che è improbabile trovare altrove, tantomeno nella girella del discount) e Nick ha pure il “mento da stronzo” e, insomma, tutti simpatizziamo per Amy. Anche se sentiamo che c’è qualcosa che non va.

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Un esempio di “qualcosa che non va”: il regalo per il quinto anniversario

Inizia la seconda parte e un twist ci rivela che Amy è viva e sta bene. Ecco cosa non andava. Avverto, per un attimo, una mini-delusione. E la mini-delusione era figlia del fatto che avevo sperato con tutta me stessa che non fosse che Amy era viva e aveva messo in piedi tutto il circo per fuggire da un marito violento. La delusione è durata forse undici secondi, tempo che – secondo twist importante – Amy iniziasse a parlare. Perché Amy ha calcolato tutto, nei minimi dettagli, con una freddezza, un’abilità e una crudeltà che solo una via di mezzo tra una donna ferita e tradita, uno psicopatico che “empatia” non lo sa neanche scrivere e una delle giovani marmotte – non per la crudeltà, ma per l’abilità. E, soprattutto, Amy non ha niente a che vedere con quella che abbiamo imparato a conoscere nella prima parte del film. Lei non è mai stata quella ragazza, si è forzata a essere la ragazza che poteva piacere a Nick, la “strafica”, quella che beve birra e mangia pizza fredda sul divano restando una 38 – credo sia la mia citazione preferita perché esprime tutta la macchinazione che c’è dietro (per i maschi: restare una 38 mangiando pizza e bevendo birra è sostanzialmente impossibile o richiede uno sforzo sovrumano, tipo tanta palestra e credo anche disturbi alimentari) e la innaturalezza del suo personaggio. Lo scopo di Amy è la vendetta: uccidersi e far incolpare il marito. In Missouri c’è la pena di morte. Ci dispiace. Ci dispiace quasi di più per noi stessi, ingannati da Amy, che per Nick, che ancora non abbiamo capito come mai gli scappi quel sorrisino cretino in modalità random (ogni tanto, lui lo fa: ora, noi sappiamo che in realtà questa è una caratteristica di serie di Ben Affleck, che non può fare altra espressione, ma il fatto che Fincher abbia consapevolmente sfruttato questa sua specifica per costruire il personaggio così nel dettaglio mi induce a inchinarmi alla sua intelligenza. Questo è sapere fare il proprio lavoro, per benone) e sappiamo che è innocente, eppure non empatizziamo con lui lo stesso. Ma ora sappiamo: lui è uno stronzo, lei una psicopatica. Bene. Non sappiamo ancora quanto.

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Il sorrisino cretino random

Il personaggio di Amy va direttamente nella lista di migliori psicopatici della storia del cinema, tanto crudele e spietata da far sembrare il John Doe di Seven un povero pazzo – intelligente, sì, per carità – che, alla fine, si lascia trascinare dal suo delirio. E stop. Amy no, accidenti. Tiene conto delle prove, delle debolezze del marito, della sua famiglia, della polizia. Tiene conto dei media, che riesce a utilizzare a suo beneficio per tutto il tempo, sfruttandone la natura estremamente volubile per costruire il futuro che desidera. Per costringere il mondo ad adattarsi al suo volere. Tiene conto da anni – da anni, ragazzi, questa sì che è pianificazione – di un suo ex del liceo (tale Desi Collings) e della sua sempiterna cotta che lei tiene viva nel tempo con un rapporto epistolare morboso e, quando il suo piano inizia ad incepparsi, chiede aiuto proprio a lui, il ricco e volubile sempre innamorato di Amazing Amy. Quello che, quando la vede struccata, ingrassata (Amy aveva una fame della madonna e, appena inizia la sua fuga, inizia anche a mangiare cibi spazzatura, ulteriore sfregio alla amazing versione di se), con i capelli in disordine, le compra la tinta, le indica la palestra e le dice che solo quando sarà tornata fisicamente se stessa potrà sentirsi mentalmente tale. Anche con lui, come con i genitori, con Nick e con il resto del mondo, Amy deve essere meravigliosa. Terzo twist – e qui ho iniziato veramente a sentirmi male – Nick capisce cosa sta accadendo e, dopo essere stato crocifisso dai media (anche a causa del suo sorrisino inspiegabile) decide di utilizzarli a suo vantaggio: si scusa, si mostra addolorato, vergognoso, dice che ama moltissimo sua moglie e che la vorrebbe di nuovo con se. Nick sa che Amy è viva e le parla dalla tv, mentre lei sta mangiando una creme brulee sul lussuoso divano di Desi e si strafoga come se stesse guardando un film avvincente. Una psicopatica fenomenale, con una debolezza enorme: suo marito. E, nel suo piano, cambia qualcosa. Il suicidio sparisce dalla to do list – che è forse l’unica critica che posso muovere a Fincher, di essere stato un pochino didascalico con la lista e il calendario da pazza – e un nuovo piano prende forma nella testa di Amy. Che si rimette in forma, si fa un taglio di capelli strafico e fa la carina con Desi. Che tiene Amy chiusa nella sua casa sul lago disseminata di telecamere. E Reznor-Ross – ormai fanno tipo creatura mitologica, il Reznicus – dà il meglio di se con dei suoni che sembrano la lametta grattata su una lavagna e collegata a una parete di amplificatori tipo concerto degli Iron Maiden e allora capiamo che sta per succedere qualcosa, mentre Amy finge uno stupro davanti alle telecamere, mentre si guarda allo specchio e si infila una bottiglia laggiù un sacco di volte, mentre prende per mano Desi e lo spoglia e mentre sono a letto prende un taglierino da sotto il cuscino e – la lametta si fa molto più rumorosa – gli taglia la gola in quella che non potrei descrivere se non come una doccia di sangue. Amy si alza, scuote i capelli che si erano spettinati e ammira la sua opera. Ora può tornare da Nick.

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Da qui in poi parte un finale che è una discesa verso un malessere atroce, che ti lascia incollato alla poltrona, con un senso di disagio, stupore e incredulità generato dal fatto che non poteva concludersi altrimenti. Nick costretto a un matrimonio infelice, ad avere un figlio con una psicopatica – che lava via la sua colpa con la facilità con cui il sangue le scivola di dosso nella geniale scena della doccia – che non può abbandonare perché i media renderebbero la sua vita un inferno – niente lo tiene lì, è una questione di immagine. Ma se i media possono farti condannare a morte, possono anche rovinarti la vita. E così Fincher ci porta dritti nell’abisso, un abisso fatto di gente bella e ben vestita, con una casa carina, un amore grande grande che resiste alla tragedia. Ma è tutta una grande bugia. E la cosa peggiore è che il rapporto tra Amy e Nick non è mai stato così sincero come ora, che è pura verità nell’incubo del privato e pura finzione nel sogno che mostrano al resto del mondo.

9 pensieri su “Gone Girl

  1. Ho amato questo film talmente tanto, quando l’ho visto, che in 5 giorni l’ho rivisto altre 3 volte.

    l’unico appunto che mi sento di fare è che forse il film dura dieci minuti di troppo.
    Gli ultimi dieci minuti.

    Ho pensato che Fincher volesse che lo spettatore si convincesse in modo definitivo dell’accettazione di Nick nel vivere una farsa per puro tornaconto personale.
    Forse un taglio netto dopo che Amy va di sotto a concedere l’intervista in esclusiva alla STRONZA del network (amo il giornalismo quando è schietto, non quando è spazzatura ma credo tu lo sappia bene a cosa mi riferisco e INFATTI in Nightcrawler quel genere viene trattato molto bene) avrebbe concluso in maniera adeguata la storia.

    Momento memorabile: Amy torna a casa e dinanzi a una folla di giornalisti crolla tra le braccia di Nick che le sussurra “alla fine sei tornata, stronza….”

    10 minuti di applausi….

    • Lei e` lo psicopatico cinematografico migliore degli ultimi anni. Sicuramente il migliore di quelli di Fincher. Un personaggio cosi` e` la perfezione assoluta. Io sono indignata che non si sia presa l’Oscar, ma evidentemente negli States non apprezzano le critiche ai matrimoni falsi e al perbenismo e le prendono come critiche a TUTTO. Che tristezza.
      Bellissimo anche il libro, super agghiacciante.

      Nightcrawler: bomba. Sono ancora li` con la bocca spalancata (e quanto e` stato bravo lo smilzissimo JG!)

      • Addirittura meglio del John Doe/Kevin Spacey di Seven?

        Paragone arduo, ma effettivamente questa interpretazione resterà negli annali.
        Lei l’avevo vista la prima volta ne “la versione di barney”, se non hai visto il film puoi comunque recuperare il libro, ma nel film il protagonista è Paul Giamatti e solo per questo vale la pena vederlo…

  2. Premesso che il film non mi ha entusiasmato come avrei voluto, e non mi ha convinto per tutta una serie di motivi, per quanto riguarda la traduzione dei titoli sfondi una porta aperta. Che ai titolisti italiani auguro una Amy che li aspetti sul pianerottolo.
    Ma, citandoti, “alle coppie annoiate che si parano davanti ai cartelloni dei film in programmazione al multisala e si chiedono: cosa vediamo?” dico solo che se lo meritano, così imparano a documentarsi prima.

    • Ciao! Hai ragionissima su entrambe le questioni. Purtroppo una di quelle coppie ha – accidenti – disturbato la mia visione, lamentandosi nella ben nota scena di sangue e uscendo di sala e passando la precedente ora a lagnarsi sul film (mi era capitato anche con Still Life e AURORA, che non e` proprio un film recente e che se vai a vederlo ci vai per un motivo e non solo perche` e` una serata gratuita!). Concordo sulla Amy sul pianerottolo (cheppaura) 🙂

  3. Bellissima la definizione di Amy: “Il personaggio di Amy va direttamente nella lista di migliori psicopatici della storia del cinema”. È sempre “Ben” che mi lascia perplessa nella sua recitazione, ma sicuramente “ben” dici tu: lo ha scelto come “caratterista”.

    • Ciao! Sì, continuo a essere d’accordo su Ben, mi sembra che quello che gli manca come attore lo compensi in sapienza alla regia con l’elemento sociale e criminoso! Purtroppo certe interpretazioni non gliele si può perdonare. Ma qui è perfetto e secondo me questa cosa è possibile perché a) Fincher è capacissimo e b) Ben da quali sono i suoi limiti recitativi e la consapevolezza è una super arma!

  4. mi sono chiesto come mai quando Amy torna a casa ancora non l’hanno lavata, solo a casa succede che si lava, il sangue scivola via, tu capisci perché?

    • Ciao!
      Penso sia una combinazione tra: Fincher voleva fare quella scena in quel modo (ed è perfetta); la mia vasta conoscenza di law and Order SVU (ehm) mi porta a dire che spesso le vittime vengono riportate a casa dove si lavano in un luogo familiare (ma non so quanto SVU sia affidabile!); credo che Fincher abbia pestato molto sulla necessità dello show, anche rischiando una quasi -incongruenza che però funziona proprio per la platealità!

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