Home Video: Cosmopolis (benvenuti a Cronenbergville)

Quando ho visto il trailer, così contemporaneo da risultare futuristico e antico allo stesso tempo, ho, per un attimo, avuto un sussulto gioioso pari solo a quello nato dal mio incontro con My son, my son, what have you done?, capolavoro diretto da Werner Herzog e prodotto da David Lynch, una delle collaborazioni artistiche meglio riuscite e più appetitose – almeno per la sottoscritta – della storia. Perciò l’idea di poter vedere e conoscere la creatura nata dall’accostamento DeLillo (autore del capolavoro Underworld, che segue il tragitto percorso da una palla da tennis all’interno di un mondo che non è affatto ciò che sembra, del tagliente – forse anche un po’ menoso, ma decisamente attanagliante – Running DogWhite Noise) – Cronenberg mi ha tenuto sveglia per alcune notti, finché le mie aspettative non hanno raggiunto livelli altissimi fino all’uscita nelle sale. E ora, attratta al divano con una forza magnetica che trascende l’umana comprensione, ho proprio voglia di rivedere questo film, che è subito diventato uno di quei film ossessione non solo di questi ultimi anni, ma di questo nuovo millennio.

Cronenberg è riuscito a trasporre fedelmente il capolavoro nato dalla sagace penna (o tastiera?) di DeLillo, ma senza la pedanteria tipica di chi ricalca la trama senza aver compreso i fili con cui è stata intrecciata. Cronenberg ha interpretato quest’opera, così forte nel colpirci con le contraddizioni della nostra epoca, ne ha spremuto la linfa fino al midollo. Perché Cosmopolis è un film estremamente materiale, fisico e corporeo, sebbene, soprattutto nella prima parte, mantenga perlopiù all’interno della dimensione verbale e concettuale il ricorrente tema della mostruosità (tutta carne e sangue in Videodrome). Ne sono prova i corpi che, avvicendandosi l’un l’altro all’interno dell’auto del protagonista (un’auto che è un ufficio, una casa, uno studio medico e anche una stanza di motel) si mostrano in tutta la loro matericità, a volte anche nella loro pesantezza. Sono infatti poche le figure leggere, come l’eterea Elise, che, infatti, è una poetessa alla quale viene completamente asportata la dimensione sessuale, che risulta invece sovrabbondante nel personaggio interpretato da Juliette Binoche, contrassegnato da una sessualità così esplicita (ricorrente in ogni film diretto da Cronenberg) da risultare sovraccarico anche nel dialogo. Elise, la moglie di Eric, il protagonista, un giovane ricchissimo che fa un lavoro misterioso che gli dà molto poterer, sembra, all’opposto, provenire da un’altra epoca che, in realtà, non è poi così lontana. Elise è novecentesca, è l’iperbato di tutto ciò che di puro e trasparente l’abuso della contemporaneità (Eric) si lascia senza fatica alle spalle.

Quella che Eric affronta è una giornata, ma è in realtà un viaggio i cui setting sono stati attentamente costruiti. Gli ambienti ci parlano e ci guidano: Cronenberg arreda le inquadrature e nel farlo ci accompagna in questa sorta di discesa (o salita? Perché quando si è umanamente in basso non è forse la follia l’unico modo per ritrovare sé stessi?) da parte di Eric. Una trasformazione che avviene attraverso il suo mondo e il risultato è una realtà scomposta, multidimensionale, incoerente e lacerata. Cronenberg ci mette davanti un ambiente lussuoso e lussurioso che, come una squallida carta da parati ormai ammuffita, non fa che sgretolarsi fino a lasciarci inorriditi di fronte a quello che non è altro che un muro kafkiano.

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Il viaggio inizia con un’auto preziosa, dentro e fuori, che rassomiglia, nella sua asettica perfezione al protagonista, così levigato e perfettamente vestito da ricordare un cyborg, una creatura così costruita da sembrare solo vagamente umana. Interessante è il modo in cui il sovraccarico tecnologico e capitalistico influisce ssu Eric, lasciando l’involucro intatto, ma deturpandolo all’interno stile Tetsuo. Quello con cui abbiamo a che fare è un personaggio controverso, a tratti fastidioso. Quello che Cronenberg ci fa conoscere già dai primi minuti è un uomo avulso dalla società, dalla quale è chirurgicamente separato grazie all’ermetica limousine da cui vede ogni cosa, ma che lo protegge dallo sguardo altrui. Il terrore generato dalla possibilità della morte e dalla malattia lo annichilisce al punto da renderlo pulito fino all’ossessione. Ma quanto è pulito il corpo, tanto può essere deturpata la mente che, priva di ogni senso di colpa (affascinante e disturbante come i protagonisti di Piccoli omicidi tra amici) rappresenta una delle possibilità più aberranti per l’essere umano e, infatti, “l’omicidio non è che la diretta conseguenza degli affari”.

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Il viaggio che Cronenberg ci propone attraverso il cambio di ambientazione è spiazzante: dall’ambientazione futuristica e lussuosa dell’auto (e della minimale stanza di albergo), alla libreria dal sapore antico, alla tavola calda con tanto di ratto sventolato per aria (fatto che suscita una delle poche reazioni umane che, fino a quel punto, il protagonista ci ha concesso: un divertito e compiaciuto sorriso), all’accogliente bottega del barbiere dall’aspetto caldo e familiare (che mi ha fatto pensare immediatamente a Eastern Promises), allo squallido e sporco appartamento in cui vive l’uomo (un terrificante Paul Giamatti) che sta tentando di uccidere il protagonista di Cosmopolis. Il personaggio di Eric è, a modo suo, un personaggio ai margini e, in modo opposto, lo è anche colui che vuole la sua morte, interpretato da Paul Giamatti.

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Meravigliosa è la contrapposizione visiva che Cronenberg ci propone, in quello che è uno dei finali più intensi e significativi della filmografia del regista canadese. Viviamo cambi di ambientazione così drastici da ricordare l’emozionante eXistenZ. Stare in questo film, essere immersi in ogni inquadratura, in ogni sequenza, assorbiti da ogni dialogo (interpretato con una parlantina ossessiva degna di A dangerous method) è come visitare Cronenbergville. Ed è un soggiorno impagabile.

2 pensieri su “Home Video: Cosmopolis (benvenuti a Cronenbergville)

  1. Straniante come solo Cronenberg sa essere. Ho avuto quasi la sensazione, cercando di entrare nel personaggio di Eric, che fosse malato terminale di chissà quale malattia…

    ma forse l’unica vera cosa di cui Eric soffre è il dover vivere.

    E allora non conta nulla di ciò che avviene all’esterno di quella limousine, che sia un crollo economico, o una rivolta sociale, o soltanto la semplice ricerca del sesso in sé senza alcuna complicazione sentimentale.

    lo stesso rapporto con la moglie, così distante eppure così simile a Eric, nello sfuggire a ciò che le è intorno, porta il film verso la degna conclusione di tutto…

    Mi sono informato sull’autore del libro dal quale è tratto il film, e credo che recupererò molte delle sue opere

    • Eric e` esattamente un personaggio di DeLillo, ho letto anche Running Dog e l’indole e` quella. Underworld e` un capolavoro! Sicuramente uno dei migliori autori contemporanei

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