Home Video: Benny’s Video

Ci sono momenti, nella vita, alla fine di una giornata, in cui si sente la pericolosa necessità di guardare uno di quei film che tolgono il respiro, che lasciano un silenzio plumbeo e pesante nella stanza e che, a me, fanno venire voglia di essere una persona migliore. Ciascuno dei film di Michael Haneke mi fa questo effetto. Soprattutto adesso, con quello che sta succedendo nel resto del mondo, che comunque è il mondo in cui viviamo, in cui dovremmo continuare a vivere a che dovremmo contribuire a cambiare (dato che, come ha fatto notare George Bernard Shaw, quelli a cui il mondo sta bene così com’è sono degli idioti), non posso essere cieca. Non posso essere noncurante al punto da risultare laida. Perché è di questo che stiamo parlando: indifferenza. Per 298 persone morte non si sa per quali interessi. Per quello che sta succedendo a Gaza, su cui si ha sempre un’opinione, ma poi tanto è lontano. Ma poi tanto cosa possiamo farci? Probabilmente niente. Ma io ho bisogno di rendermi conto di quello che mi succede attorno. E ho bisogno che mi importi.

Un maiale viene ucciso, il video si riavvolge e ci subiamo un violentissimo e terribile ralenti in cui la morte è in primo piano: non possiamo non guardare. Haneke, dopo trenta secondi, ci sta dicendo: non potete fare finta di niente. È lì. Poi le immagini di una festa. Il telegiornale. Il conflitto Serbia-Bosnia. Gente che muore. I genitori che parlano con il figlio che guarda distrattamente queste immagini di morte e nessuno ha una reazione. Niente. Ci sono così tanti schermi che si frappongono tra noi e loro: quello della televisione, della macchina da presa che ha filmato. Un sacco di chilometri. Un’altra cultura. Ci sono così tante barriere che ci separano da quelle immagini lontane che non pensiamo che la tragedia possa irrompere nella nostra vita da un momento all’altro. Non ci pensiamo al punto da diventare distratti e noncuranti, perché quello che conta è essere puliti e ordinati, cenare assieme (in un silenzio lugubre o portando avanti una conversazione che è l’anima gemella del nulla), tenere in ordine una bella casa in un bel quartiere, avere un figlio che canta nel coro (coro in cui si spacciano pasticche mentre si gorgheggia con la voce bianca che solo i tredicenni hanno). Non ci pensiamo finché non partiamo per il weekend, torniamo a casa e non troviamo nostro figlio con la testa rasata. E, allora, ci accorgiamo che forse qualcosa non va.

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Benny, adolescente di buona famiglia, uno di quelli che (okay, magari è anche colpa del fatto che fossero gli anni Novanta) porta le camicie abbottonate fino al soffocamento e i pantaloni a vita altissima stretti con la cintura all’ultimo buco. Uno di quelli che cantano nel suddetto coro. Ma, soprattutto, a Benny piace girare dei video e ha un’attrezzatura professionale in camera sua, che, però, sembra tutto fuorché la camera da letto di un ragazzino. Un lettino e poi schermi, video, apparecchiature tecnologiche varie (adesso, anni Novanta o no, a me sembra un po’ strano e, se fossi la mamma o il papà di Benny, qualche domanda inizierei a pormela). Tutto quello che vede Benny, nel film, è filtrato da uno schermo, una lente, una sperficie riflettente. L’unico modo in cui entra in contatto con la realtà è asettico, entomologico. E, quando conosce una ragazzina di fronte al videonoloeggio dove va di solito, la invita a casa sua, le offre una pizza. A questo punto, tutti (e dico tutti, perché anche io che sono sempre pronta al peggio e so che Haneke nei primi due minuti ti dice già che piega prenderà la storia non ero preparata per questo) pensiamo che Benny ci voglia provare. E magari è anche così, ma non lo sapremo mai, perché i due si mettono a giocare con la pistola che ha ucciso il maiale del video dell’incipit: Benny le chiede di sparare, lei rifiuta e lui le dice che è una codarda. Poi rivolge l’arma verso di lei, lei gli dice di sparare, Benny non spara, lei gli dice che è un codardo e Benny le spara. La ragazzina cade e poi non vediamo più nulla, se non Benny che si muove avanti e indietro su uno dei suoi schermi. Ma è quello che sentiamo a essere raccapricciante. L’agonia della ragazzina; Benny che, non sapendo come aiutarla, le spara più volte, finché non sentiamo un silenzio che era diventato indispensabile.

E poi Benny si mangia uno yogurt. E questa è la scena più terribile di tutto il film. Okay, è morta, aspetta che mi mangio uno yogurt, pulisco il sangue dal pavimento, mi denudo, mi organizzo con gli amici per uscire e stop. È tutto finito, non c’è più niente da fare. E la cosa peggiore è che Benny non è uno di quei ragazzini sociopatici che torturano i gattini e danno fuoco a tutto. Benny è un ragazzino «perbene». E, una volta rasato (chiaramente questo momento segna un cambiamento grosso in Benny, è il suo modo di esprimere che qualcosa è effettivamente successo), racconta tutto ai genitori, mostra loro il video, senza dare segni di rimorso. Anche i genitori di Benny si mangiano metaforicamente lo yogurt, perché arrivano alla conclusione che sbarazzarsi del cadavere è l’unica soluzione, che la cosa «non gioverebbe al suo CV» (e il precocemente scomparso Ulrich Mühe qui è disumano sopra ogni limite, quasi quanto era poi umano in Le vite degli altri), che bisogna tagliare il corpo della ragazzina a pezzettini piccolissimi. Che è ora di cena, di togliersi gli orecchini e trasformarsi in mamma casalinga e preparare la cena, perché Benny, incredibilmente, ha fame.

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Ecco, Benny’s Video è tutta una critica non solo a chi fa qualcosa di orribile (questo è implicito e sarebbe solo semplice moralismo, che è fin troppo facile a farsi), ma a chi non prova sensi di colpa, a chi preferisce la superficie (e siamo pieni di superfici qui, superfici come il tavolo della cucina su cui Benny rovescia il latte e lo pulisce male, così come Susanne Lothar in Funny Games pulisce con scarsa cura le uova rovesciate sul pavimento e c’è sempre questa idea di sporco borghese, in Haneke) piuttosto che guardare l’abisso e decidere di affrontarlo. E tutto questo ci dimostra quanto l’essere umano sappia essere crudele nella misura in cui decide di non affrontarlo, questo abisso e questo Haneke ce lo dice quando, alla fine di tutto, Benny porta alla polizia il video in cui i suoi genitori discutevano di come sbarazzarsi del corpo (perché Benny sta sempre filmando, anche quando non ha la macchina da presa in mano), ancora non si rende conto e chiede: «posso andare ora?». Ma Haneke una sottile speranza ce la lascia: la mamma di Benny che, durante la loro vacanza-fuga-finché-non-si-calmano-le-acque, sdaraiata  a letto inizia a piangere e a vomitare, presa da un dolore incontrollabile, frutto di una consapevolezza che sfugge alla repressione e esplode in tutta la sua autenticità.

2 pensieri su “Home Video: Benny’s Video

  1. Ho sempre amato Haneke, il suo cinema così straniante quanto disturbante non ha eguali… forse solo Lynch riesce a trasmettere, usando una tecnica narrativa differente, emozioni così forti.

    • Infatti ho sempre detto che Niente da nascondere e Strade Perdute iniziano allo stesso modo per poi sviluppare una storia che più diversa non può essere eppure entrambi sono di una forza impressionante e arrivano proprio dove vogliono arrivare. Con von Trier, Haneke e Lynch sono dei generi cinematografici a sé!
      Comunque Benny è, dei primi tre, quello che preferisco

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