Blue Valentine

Blue Valentine (di Derek Cianfrance, 2010) è un film che è arrivato solo tardivamente nelle nostre sale. Inspiegabile, perché sempre più produzioni indipendenti stanno dimostrando di essere di molto superiori a molti film mainstream. È sufficiente nominare Take Shelter per rendere l’idea.

L’incipit di Blue Valentine rivela un gusto e un’accuratezza per la fotografia che mi fanno da subito pensare a The place beyhond the pines (Come un Tuono, dello stesso regista). Le immagini evocano da subito un senso di vuoto e di incompletezza, di incertezza sottolineata con la breve profondità di campo il cui fuoco cambia spesso soggetto. Così conosciamo Frankie, la bambina e Dean (Ryan Gosling), suo padre. Un padre affettuoso, giocoso, con l’aria dello sfaticato e da subito mi coglie di sorpresa la profondità del personaggio che emerge già da queste prime sottili contraddizioni. Il vuoto prende presto corpo: è lo spazio che separa Dean dalla moglie Cindy (Michelle Williams). I due, anche se vicini, stretti in un abbraccio, appaiono irrimediabilmente lontani. Cindy, che scopriremo poi essere un’infermiera in uno studio medico, insidiata dalle avances del capo a cui, nonostante il matrimonio a catafascio non cede, è algida e sbrigativa. Dean appare come un bambino gigante, stempiato, perennemente sporco di pittura. Ai sorrisi si alternano momenti di raggelante silenzio. E ci sentiamo obbligati a porci la domanda che regge tutto il film: come può una coppia arrivare a questo punto? Com’è che un amore finisce? Il film non dà risposte, ma pone ulteriori interrogativi e, anzi, spinge lo spettatore a riflettere. Non solo sull’amore e sulle relazioni, ma sulla vita in generale: aspettative, aspirazioni, delusioni.

blue-valentine-Il primo flashback ci introduce, attraverso un passaggio dall’iniziale digitale a un romantico 16mm, il giovane Dean e, nel giro di dieci minuti, non possiamo fare altro che innamorarci del suo personaggio, così idealista e della cura che ha per il vecchio Walter, per cui non si limita a fare da trasfocatore, ma si improvvisa anche arredatore e amico. Il modo in cui capisce il senso e il significato che gli oggetti raccolti nelle scatole hanno per l’anziano uomo e lo concretizza sistemandoli in modo ragionato e affettuoso ci pone di fronte alla complessità del personaggio e alla sottigliezza con cui la sua personalità è strutturata.

bluva1In parallelo si sviluppa la storia al presente, dove la coppia, così disastrata che ci sembra quasi impossibile immaginare aver mai avuto un momento felice, lascia la bambina a casa del nonno e si rifugia per una notte in uno squallido motel con le stanze arredate a tema.  La stanza “futuro” assomiglia a un grosso contenitore di alluminio illuminato da led o neon azzurrognoli che mi fanno pensare alla claustrofobica stanza di Bug, all’interno della quale si consuma la tragedia di un’altra coppia dal drammatico destino.bug Qui Cindy c’è, ma non c’è, è un corpo inerte che ciondola per la stanza e, non appena crediamo di intravedere uno spiraglio di complicità, subito segue un baratro emotivo difficile da sostenere. La scena in cui Dean tenta di fare l’amore con la moglie, ma lei si pone come un cadavere diventa quasi insopportabile a causa del volto inespressivo di lei e di quello contratto dal dolore del marito. La differenza del supporto filmico per rappresentare i flashback (pellicola) e il presente ci fa avvertire ancora di più la differenza tra l’idillio iniziale e il dramma attuale, per nulla ingentilito da uno schietto digitale.

WildHeartData la mia ossessione per David Lynch, non ci è voluto molto perché ravvisassi delle somiglianze con Lula e Sailor di Wild at Heart (Cuore Selvaggio). Il paragone è poi divenuto obbligatorio non appena ha iniziato a suonare la canzone di Elvis (Love me) che Sailor canta a Lula nel locale dell’albergo in cui si sono rifugiati, provocando nella ragazza una reazione di felicità isterica. Come Sailor, anche Dean è un personaggio controverso, allo stesso tempo tenero ma disastrato, svogliato ma coraggioso, eroico ma infantile. Il rapporto all’interno della coppia ricorda, nei flashback, lo scatenato e talvolta folle e irresponsabile amore dei protagonisti di Cuore Selvaggio che, con manifestazioni eccessive al limite del kitsch (e Lynch è bravissimo nell’amplificare ulteriormente questo aspetto nell’inquadrare le unghia laccate di rosso e la mano di Lula che si stringe e si apre mentre fa l’amore con Sailor) si dichiarano continuamente il loro amore. Allo stesso modo, più flashback Cianfrance ci regala, più immagini memorabili abbiamo per mettere assieme i pezzi e figurarci l’inizio della storia. Dean e Cindy sembrano una coppia destinata a non separarsi mai. Affrontano una gravidanza indesiderata in cui Dean, pur non essendo il padre della bambina, decide di costruire una famiglia. Superano la gelosia dell’ex ragazzo di Cindy, che, accompagnato (come i migliori jerk sportivi dei film americani fanno sempre) da due amici, massacra di botte Dean. Ogni difficoltà non fa che rafforzare la loro unione e, poi, tutto si disfa da sé, senza che nessuna catastrofe intervenga. Sembra quasi impossibile.

Il divario tra il ricordo e il presente diviene sempre più incolmabile e le immagini dei volti trasformati sono di un dolore lancinante, perché Dean e Cindy, sposati dalla gravidanza di lei, sembrano sfibrati e stancati da decenni di battaglie e incomprensioni. E, invece, gli anni passati non sono poi molti, dato che Frankie non avrà più di cinque anni. È struggente capire, alla fine, che per far crollare un rapporto ci può volere così poco. La distanza tra i protagonisti appare insanabile quando, dopo la notte al motel, Dean si sveglia solo, poiché Cindy è andata al lavoro. Dean piomba nello studio medico in cui la moglie lavora e assistiamo a un’escalation emotiva e alla distruzione totale, o quasi, del loro già fragile rapporto. Significativa è l’inquadratura che li ritrae entrambi riflessi nello stesso vetro mentre discutono, con i volti, però, rivolti nella stessa direzione, come se non si guardassero: il vetro rimanda, attraverso la distorsione, l’immagine più realistica che del loro rapporto si possa dare, la totale mancanza di contatto e di comprensione. Bellissima la scena in cui Dean, esasperato, lancia la sua fede, che stenta a sfilarsi dall’anulare, in un prato e, subito dopo, inizia a cercarla in mezzo alle sterpaglie, aiutato da Cindy, che, poco prima, gli ha gridato che per lui non provava più nulla se non odio. Cianfrance, in pochi secondi, esprime la forte contraddittorietà della storia d’amore dei suoi personaggi.

Il finale è sofferto a più livelli: Dean soffre la separazione da Cindy, ma il dolore è grande anche per un rapporto che in quella direzione non può più continuare e, allo stesso tempo, le lacrime della bambina, che il padre allontana con delicatezza malinconica, si aggiungono alla spirale di tristezza in cui i personaggi sembrano condannati a restare.fat È un finale aperto, ma non troppo: non c’è una fatina che magicamente risolve tutto, salva la situazione, la coppia e apre uno spiraglio di felicità a illuminare il futuro. E non avrei potuto immaginare un finale diverso: la fatina ha pieni poteri solo se è David Lynch a evocarla.