Nella casa

«La vita, senza storie, non vale niente».

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Sono andata a vedere Nella Casa (di François Ozon) qualcosa come due settimana fa. Perché ho atteso così a lungo prima di scrivere anche una sola parola? Nella Casa, è un film che migliora di giorno in giorno, nella testa di chi ha avuto il piacere di guardarlo. È una creatura molteplice, ammiccante, complessa, che si fa strada nell’organismo del suo spettatore e lo contamina, lo ossessiona con la sua tagliente bellezza. E ho voluto lasciare che sedimentasse un po’ dentro di me, prima di dare una forma al contenuto dei miei pensieri.

Nella Casa è un ottovolante emotivo, ma, soprattutto, intellettuale, dove i meccanismi applicati al racconto da Claude (Ernst Umhauer), il giovane protagonista, si ripetono, in parallelo, sullo spettatore. Ma non è solo il testo in sé a stregarci, è l’effetto che tale creazione ha sulle vite dei personaggi del film.

Fin dalle prime inquadrature respiro il talento di Ozon e apprezzo il rigore e l’intelligenza di un cinema moderno che mi fa pensare alla superba regia di Michael Haneke che, con perfezione geometrica, riesce a trattare i sentimenti umani con una profondità impossibile da eguagliare. Così Ozon, dopo aver presentato il brillante personaggio del Professore – cinico, perché ha passato l’estate a leggere Shopenauer! -, ci regala dei momenti straordinari a cominciare da quando inquadra la scuola, un edificio minimalista di fronte al quale, il primo giorno, uno studente attende, solo, che i cancelli vengano aperti. Al ragazzo se ne aggiungono progressivamente altri, con un ritmo accelerato che si contrappone all’immanenza del monolite alle loro spalle. Presto il gruppo di studenti diviene una massa di corpi resi indistinguibili dalle uniformi, introdotte come novità nella scuola divenuta di prestigio, un istituto “pilota”. Una sterminata quantità di foto-tessere viventi si avvicenda sullo schermo in cui l’effetto ottico dato dai corpi uniformati contrasta con i volti così differenti e, allo stesso tempo, indecifrabili per la velocità con cui si alternano.

E proprio una regola così retrograda come quella che impone di indossare la divisa permette lo svolgersi di tutta la vicenda: uno come Claude, altrimenti, non avrebbe avuto molte possibilità di essere invitato a casa di uno come Rapha, come intuiamo dalle parole che il ragazzo utilizza per descrivere il suo quartiere e quello del compagno di classe.

Il personaggio del Professor Germaine, acido e disilluso, detesta le uniformi e disprezza l’arte contemporanea, così come la maggior parte degli scritti che i suoi studenti, su sua richiesta, gli hanno consegnato all’inizio dell’anno scolastico. Televisione, pizza e cellulari. Tre parole che riassumono lo squallore delle produzioni letterarie della classe di sedicenni di cui è divenuto coordinatore. La II C, uno scritto mediocre dietro l’altro. Anzi, terribile. Finché non s’imbatte nella descrizione del weekend di Claude Garcia, il quale racconta, con uno stile asciutto che aggancia il lettore, di aver offerto il suo aiuto per matematica al compagno di classe Raphael. Perché, per tutto l’anno precedente, Claude aveva osservato, da una panchina del parco, la casa del compagno e la sua famiglia normale. E, da allora, Claude aveva desiderato entrare nella casa. Casa in cui la sua attenzione viene, a un certo punto, attratta dall’odore «così particolare delle donne borghesi», quello della madre di Raphael detto Rapha, Esther (Emmanuelle Seigner). Al termine dello scritto, per cui il Professore mostra un apprezzamento crescente mentre lo legge ad alta voce alla moglie – spettatrice partecipe -, Claude aggiunge un «(continua)», dimostrando di avere più potenzialità di quanto il suo insegnante non potesse sperare. E si guadagna un otto e mezzo, sebbene il testo ponga qualche dubbio sulla moralità delle critiche taglienti e voyeuristiche mosse alla famiglia normale.

dans-la-maisonNonostante la situazione sia – a tratti – morbosa e l’interesse di Claude sia sulla soglia dell’ossessione, il Prof. Germaine continua ad aiutare il ragazzo, l’apprendente (come diviene obbligatorio chiamare gli alunni per non traumatizzarli troppo), perché convinto del suo talento e della possibilità che questi, un giorno, divenga uno scrittore. Il cementarsi del rapporto tra i due è una delle parti che ho più apprezzato di questo film e mi ha fatto pensare: quante volte, nella vita, capita qualcuno così? Qualcuno di sincero, onesto, quasi brutale, che ci spinge a perseguire i nostri sogni, che ci aiuta a scoprire i nostri talenti? Non lo so. Ricordo quanto mi piacesse scrivere al liceo e di quanto fossi fiera di un tema su Brian de Palma e l’onirismo in cui avevo preso un voto molto alto, poi messo in discussione da una delle mie insegnati. Come se non potesse essere opera mia, anche se l’avevo scritto davanti a tutti. Sono momenti, questi, in cui ci si trova a un bivio e, a volte, il fatto che gli altri ci spingano a nutrire i nostri talenti o ci ostacolino nel farlo, può ripercuotersi su un’intera vita.

danslamaisonUn altro livello di lettura del rapporto tra professore e studente è ravvisabile nella miriade di consigli e correzioni che il “maestro” fa all’allievo: per chi scrivi? E, soprattutto: non importa se un evento è accaduto realmente, se non è verosimile, va eliminato. Il regista sembra così fare una metariflessione sul mondo dell’arte in generale, in cui spesso la libertà di esprimersi si scontra con il parere altrui. Registi e produttori, allievi e professori, artisti e committenti.

In Nella Casa, lo spettatore viene coinvolto in prima persona: come presenza voyeuristica, evocata dall’infinita quantità di superfici riflettenti, trasparenti, spioncini e finestre; come lettore della storia scritta da Claude; come co-costruttore, co-creatore, quando si parla di pittura verbale: lo spettatore produce nell’immaginare ciò che l’autore aveva intenzione di comunicare. E un personaggio fondamentale è costituito dalla moglie del Prof. Germaine, Jeanne (Kristin Scott Thomas), una donna di origini britanniche che gestisce una galleria d’arte moderna chiamata Il labirinto del Minotauro. Una galleria in cui espone tutti i peggiori ritrovati della cultura contemporanea e in cui respiriamo un’atmosfera surreale degna di Bunuel. Infatti, in questo scenario, si gioca un interessante dialogo: Jeanne chiede al marito se non provi imbarazzo nel leggere gli scrittivi voyeuristici di Claude, mentre il Professore le risponde: «Imbarazzato?» mentre si trova tra una bambola gonfiabile con il volto di Stanlin e una con il volto di Mao. La dittatura del sesso. Ma il ruolo di Jeanne è fondamentale in quanto rappresenta l’Arte, che, come viene detto nel corso del film, ci aiuta a vedere la bellezza nel mondo. E non solo. L’Arte libera il nostro sguardo dal relativismo in cui siamo obbligati a vivere, altrimenti saremmo travolti dai nostri pensieri, e, per un attimo, ci permette di pensare in parallelo, con tutte le nostre modalità sensoriali attivate, come se fossimo invasi da un’onda di pensiero, emozione, sensazione, immaginazione. Nel renderci liberi, l’Arte riesce a tenerci ancorati alla realtà. E, infatti, proprio quando Germaine inizia a trascurare Jeanne, la situazione inizia a precipitare e il Professore, ansioso di leggere i progressi di Claude, smette di fare i conti con ciò che accade nel mondo reale.

 ozon-in-the-house-screenshots (34)Una volta che Claude riesce a conquistarsi un posto all’interno della famiglia di Rapha, iniziano a delinearsi i conflitti e le caratteristiche più profonde del suo carattere, meravigliosamente descritto dai primi piani di Ozon e interpretato con intensità da Ernst Umhauer, le cui espressioni sono spesso molto adulte, complesse, multiformi e lasciano intravedere un passato e un presente difficili, una realtà di vita dalla quale fuggire. Un dolore maturo e impossibile da ignorare. Il personaggio di Claude è molteplice come i terribili di angeli di Paul Klee, è assieme redenzione, speranza, distruzione. Claude desidera Esther, ma desidera anche prendere il posto di Rapha, il compagno così simpatico e banale che ha scelto proprio per la sua normalità. Claude desidera restare nella casa, obiettivo che raggiunge, a livello letterario, utilizzando il presente. Più Claude ci fa conoscere la famiglia borghese, più ci rendiamo conto che ciò che sappiamo di lui è minimo. Timido, solitario, talentuoso. Accenna a una madre che se n’è andata da sette anni, ma non c’è nessun perché. Parla di un padre con cui non si immaginerebbe nemmeno lontanamente di dannarsi per infilare una palla in una reticella appesa in alto, ma non dice altro. Solo alla fine del film scopriremo che Claude si prende cura, ogni giorno, di un padre disabile e ci rendiamo conto di quanto desideri anche essere un figlio normale, come quando si immagina accoccolato nel letto tra Esther e Rapha padre, in una notte di tempesta.

Più Claude si inserisce all’interno della famiglia, più la situazione scivola verso un epilogo potenzialmente molto drammatico, paventato dal cartellone di Match Point  – l’anti-lieto fine, dove relazioni morbose, segreti e sentimenti repressi conducono alla più drammatica delle conclusioni – che si staglia dietro le figure del Professore e della moglie, mentre dibattono se ciò che sta facendo Claude sia pericolo e se andrà a impattare rovinosamente sulla sua vita e su quella dei suoi personaggi.

dans_la_maison_Nella Casa è un dramma borghese. È un Bildungsroman. È una satira sulla borghesia e sulla superficialità. É un thriller emotivo ed è anche lynchiano, nel modo in cui pone soglie scivolose tra realtà e finzione, per cui ci sentiamo in bilico tra letteratura e vita, tra distaccato e divertito cinismo e partecipato interesse per i personaggi che Claude manovra come ignare pedine, fino a diventare una di loro. La pedina più colpita, però, è proprio quella a cui Claude svela il suo talento e la sua mente tormentata: il Prof. Germaine, che, ossessionato dal racconto dello studente, finirà per perdere ogni cosa.

 nellacasaOzon mette a punto un’opera complessa, di testa ma anche di pancia, cerebrale ma emozionante, studiata ma imprevedibile. In questo film, che è matematica pura, ogni frammento trova il suo posto, un posto non prescritto o prestabilito, perfetto proprio perché inatteso. E, come dice Claude, la matematica non delude mai. Gli eventi, accompagnati dalle bellissime musiche curate da Philippe Rombi, si svolgono con una naturalezza sorprendente che impedisce allo spettatore di percepire il tempo che passa, perché scandito dai mutamenti interiori di Claude che ci guidano verso un finale che lascia aperte tante possibilità quante sono le finestre della casa che Claude e il Professore guardano: un puzzle di storie e non importa che siano reali o immaginarie, quello che conta è il racconto, perché, come aveva detto il Professore, «la vita senza storie non vale niente».

 

3 pensieri su “Nella casa

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