Inside Llewyn Davis

“Hang me, oh hang me, I’ll be dead and gone.”

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E mi rifiuto di chiamare questo film con un titolo differente, tantomeno con «A proposito di Davis», traduzione italiana che non rende affatto il senso del film, che passa già attraverso il titolo. Perché i Coen le cose le fanno per bene e nel titolo sta una delle sfaccettature di questo capolavoro. Sì, capolavoro. I Coen raccontano un viaggio che è di duplice natura: un viaggio attraverso l’America, compiuto alla ricerca del successo in quanto legittimazione del proprio talento e un viaggio all’interno del protagonista della storia, tale Llewyn Davis (Oscar Isaac). Questo film è un road movie, ma è anche un romanzo di formazione, un film drammatico, a tratti una commedia, un giallo (dov’è il gatto???), un’opera fortemente introspettiva, una radiografia di un personaggio a tutto tondo, raccontato attraverso le sue contraddizioni. Inside Llewyn Davis è, insomma, un film dei fratelli Coen che, ancora una volta, dimostrano di sapere come si racconta una storia e, allo stesso tempo, ci aggiungono qualcosa in più. Non si tratta di un semplice scorrere di immagini (bellissime, tra l’altro e dotate di una patina antica e nostalgica che riporta direttamente agli anni Sessanta): è una fetta di vita, uno scorcio di America, un assaggio di Storia. I Coen, con quest’opera, dimostrano di essere in continua crescita ed evoluzione, di essere maturati e di aver intrapreso un percorso di introspezione loro stessi. Dopo A serious man, film che ho amato alla follia, Inside Llewyn Davis è la degna continuazione di un percorso di continua e per nulla banale interrogazione sull’essere umano. Quello che contraddistingue i Coen, è la capacità di essere di una profondità eccezionale e di una leggerezza quasi magica allo stesso tempo. Perché il film ha un buon ritmo, una storia interessante e degli interpreti di grande talento.

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Llewyn Davis, il cui personaggio è in parte ispirato a Dave van Ronk, è un musicista folk che si rifiuta di scendere a compromessi e, anche questo, è uno dei motivi che arrestano il suo successo. Ma è anche una persona dal carattere discontinuo e volatile, centrata su di sé e sulla sua musica al punto da dimenticare il mondo che gli sta attorno e, con esso, chi lo abita. Ancora di più, Llewyn Davis è un musicista che cerca di imporsi nel panorama musicale come solista dopo aver perso l’amico con cui suonava e con cui era diventato famoso, all’interno di un duo. Anche da qui, perciò, la scarsa stabilità che permea questo personaggio così romantico e malinconico. Nell’epoca del couch-surfing, in cui «scroccare» il divano è diventato di moda e si recensisce l’accoglienza, l’antieroe dei Coen, un autentico campeggiatore di divani, assume un fascino assoluto. Ambientato nel 1961, prima di Bob Dylan, quando il folk viveva di una forza e di una potenza proporzionali a quelle delle idee e delle passioni dei giovani che lo suonavano, Inside Llewyn Davis è, insieme, una fotografia molto artistica (quasi acquarellata, alla Stieglitz) di un’epoca e il perfetto ritratto di un uomo alla ricerca di un posto nel mondo, nella musica e, inconsapevolmente, alla ricerca di sé stesso.

Oscar Isaac, nel ruolo del protagonista, non è mai stato così bravo e così affascinante e sembra aver acquistato un’anima del tutto nuova rispetto alle interpretazioni precedenti. Qui l’aspetto bohémien e semitrascurato (che io ho trovato stupendo e, anzi, l’acconciatura era un’opera d’arte) lascia spazio al tormento di quello che è un personaggio a tutto tondo: un musicista di grande talento, un menefreghista, uno “stronzo” (per citare il personaggio di Carey Mulligan), ma anche una persona estremamente tenera, sensibile e terribilmente sola. Che questa solitudine sia principalmente imputabile a Llewyn Davis non è particolarmente questionabile. Così come è evidente che la maggior parte delle sfortune che lo affliggono siano il risultato più o meno diretto delle sue azioni. Azioni spesso sconsiderate, come quel pugno con cui il film inizia e, in un certo senso, si conclude. E questo accade in due modi: prima di tutto, si tratta di un lungo flashback, alla fine del quale riusciamo a capire perché il volto del protagonista fosse così martoriato e, in secondo luogo, un altro pugno dà vita a un nuovo Llewyn Davis, forse. Perché nulla è scritto nel finale di questo capolavoro dei fratelli Cohen. Questo e altri dettagli richiamano fortemente le atmosfere di A serious man, con un Micheal Stuhlbarg che ha la faccia così da «Larry Gopnick» che (chi altri avrebbe potuto interpretarlo?) è il massimo della prototipicalità, affronta un doloroso percorso all’interno di sé stesso che si conclude con la certezza della morte. Una certezza che è doppia (cancro e quella specie di tragedia atmosferica che vediamo all’orizzonte), ma, nel non dirci cosa sarà a porre fine alla vita di Larry, i Coen lasciano molti spunti di riflessione a uno spettatore che, da questo film come da Inside Llewyn Davis, è costretto ad affrontare. Un po’ come Llewyn Davis è costretto, alla fine, ad affrontare sé stesso, ancora di più in ragione del fatto che, dopo la sua esibizione, quando verrà picchiato nel vicolo dietro al locale, sarà Bob Dylan a salire sul palco e cantare «Farewell» e comprendiamo che Llewyn Davis, dato che il folk verrà scalzato da Dylan, resta solo un uomo.

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Il film dei Coen è un’opera poetica, struggente, che utilizza tutte le migliori abilità dei due fratelli, dal citazionismo, alla sceneggiatura perfetta, a quella capacità quasi mistica che il regista e lo sceneggiatore hanno di mettere assieme una molteplicità di elementi e di farne una storia complessa, sfaccettata e assolutamente irrinunciabile. Il gatto, che per buona parte del film resta innominato, come «gatto» di A colazione da Tiffany (1961, appunto), al termine del quale la protagonista scopre di essere cambiata proprio nel momento in cui la mancanza del gatto le fa capire tutto ciò che aveva evitato di affrontare, fa da fil rouge per buona parte della vicenda ed è uno dei compagni di viaggio di Llewyn Davis. Che poi è uno che viaggia solo; anche se sta accanto a qualcuno, Llewyn Davis è solo. Lo stesso gatto (o meglio, più o meno lo stesso) che scopriamo chiamarsi Ulysses, richiama la straordinaria opera di Joyce, in cui l’interminabile viaggio non è che una giornata in cui Henry Bloom (e non solo) riscopre sé stesso, così come Llewyn Davis finisce per essere obbligato a fare e, purtroppo, non sempre l’esito è positivo. Il film capolavoro dei Coen apre ancora una volta una riflessione inevitabile sulla fragilità dell’essere umano e della vita, consapevoli come sempre che non tutte le storie hanno un esito positivo, ma senza mai essere scontati o fatalisti e gettando sempre uno sguardo intelligente e acuto sul peso delle nostre scelte sulle nostre vite.

Un pensiero su “Inside Llewyn Davis

  1. passato erroneamente come opera minore dei fratelli Coen, questo film, nel finale, tocca l’apice di tutta la storia: Davis a terra, tra la neve, mentre il mondo sta svoltando proprio nel locale dove si è appena esibito…
    una metafora della vita, del non arrendersi nonostante gli sbagli e gli eventi contrari.

    come in A Serious Man, i fratelli Coen mettono a nudo la solitudine dell’essere umano in tutte le sue sfaccettature.

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