Home Video: Elephant

Pronti, partenza, eccheccavolo, niente. Niente, perchè ancora una volta sono in ramadan cinematografico (sono imprecisa, lo so!), il che significa: astinenza da film quantomeno decenti in sala. E la cosa mi fa male. Ma-le. Come le liquirizie salate. Male all’anima. E allora mi sono data a una serie di Home Video spropositata, ma, dato che non sempre, quando sono sul divano, mantengo i miei poteri analitici nei confronti dell’Immagine-movimento (Gilles, sai che ti penso sempre!), ecco una breve carrellata (che definire sloppy è un blando eufemisimo, blando quanto può esserlo una medicina omeopatica contro l’antrace, per intenderci) di quello che ho visto-subito in questi giorni. Il primo della carrellata è, come mi sa che si poteva intuire dal titolo:

Elephant. Ecco, ecco come passare una bella domenica, una domenica in cui le condizioni atmosferiche sono più o meno queste, aiutandomi con le parole del buon Musil: “la temperatura dell’aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno” 2014. Gus van Sant sa il fatto suo, ragazzi. E sa cosa sia un piano sequenza. Gus van Sant. Ti adoro. Ti rivedo pure nella scena del club di Shame (McQueen), ti rivedo nei lunghi silenzi che accompagnano i miei passi nei corridoi del posto in cui lavoro e il mio sguardo fuori dalla finestra quando sono sola. Gus van Sant, mi hai dato Gerry, Paranoid Park, quella figata assurda di Psycho che penso che Hitchcock avrebbe pianto lacrime di gioia vedendolo, perché avrebbe capito quanto gli vuoi bene (ma comunque il suo era meglio, eh). Mi hai dato Elephant, che in un mondo in cui la gente vede la tragedia e dice: sfruttiamo la morbosità, tu no. Tu sfrutti tutto il contorno. E non è neanche giusto dire che sfrutti il contorno, tu lo noti e ce lo mostri, con una delicatezza distaccata (ma solo in apparenza) che mi fa venire la pelle d’oca ogni volta che mi fai vedere la stessa scena da tre diverse prospettive. La normalità. Pura normalità che, a un certo punto, viene stravolta proprio da due adolescenti che, fino ad allora, non hanno combinato nulla di sconcertante, nelle loro vite. In questo film c’è, nonostante la tragedia e la morte, una purezza che fa male: la natura sbuca da ogni inquadratura, a partire dall’incipit in cui seguiamo la macchina sbandare e la seguiamo come se stessimo volando, come uccelli. E, dalla purezza del volo passiamo alla purezza di John (ecco, qui sei stato un po’ didascalico Gus, scusa: biondo che più biondo non si può, peggio del cantante degli Ataris – e non è che John sia un personaggio proprio alla Boys of summer (la conosco solo perché quando ero teen mi ci hanno martellato le orecchie, ma ben mi guardo dall’affermare di averla mai ascoltata di mia spontanea volontà!) – e con le guance rosse), che piuttosto che (sputtanare) dire che il suo ritardo dipende dal fatto che il padre aveva bevuto come se non ci fosse un domani, si prende una strigliata dal preside (ah, ecco, la kalogakathia, cioè è bello e buono. Ehm. Gus, mi è stato brillantemente fatto notare che hai un po’ una fissa per la bellezza. A proposito di elefanti, mai sentito nominare Elephant Man? Comunque ti voglio bene lo stesso). E poi non c’è musica, ma ci sono gli uccellini che cinguettano. Ogni tanto parte un cipcip e non ce ne accorgiamo subito, ma sono sicura che anche questo sottile sottofondo contruibuisca all’effetto spezzacuore del film. Oltre alla storia. Oltre al fatto che conosciamo ben poco i personaggi, ma, da quel poco che vediamo, non ce n’è mezzo che merita di morire (okay, freniamo: nessuno merita di morire, ma GVS ha l’accortezza di mostrarci che anche le peggio stronze, quelle che ti fanno sentire una nullità infinita, sono esseri umani identici agli altri e se il concetto è a dir poco scontato, ma sacrosanto, il modo in cui il regista ce lo mostra, scivolando con la macchina da presa e mettendo in luce la normalità – ancora – di questi personaggi, non lo è per niente. Scusate, ma far passare un concetto “bello ma banale” senza usare mezza forzatura – mica come fa A.G. Iñarritu! – sapete già come si chiama: genio). E questa è solo una delle ragioni per cui Gus si è meritato sia la Palme d’Or, sia il premio alla regia a Cannes (2003), che hanno dovuto fare un’eccezione per darglieli entrambi. (Ha vinto pure il premio Mirigoround, anche se stavo ancora alle medie e quando l’ho visto forse non avevo proprio l’occhio clinico).

E poi c’è questo distacco del ti-mostro-una-fetta-di-vita prima che la tragedia abbia luogo. Il distacco del piano sequenza, che ci mette a conoscenza di tutto e ci impedisce di esserne partecipi. Insomma, stiamo aspettando che succeda l’orrore. Ma quando? Ora? No, non ora. Eppure sembra di sì. Ecco, io tutta questa tensione la avverto, quando non ci sono stacchi e inizio a tenere gli occhi spalancati perché sento e so che sta per succedere qualcosa e allora ci metto tutta la mia attenzione e aspetto, aspetto e, poi, quando meno me l’aspetto – perché a furia di aspettare è tutta un’attesa snervante (avete presente Caché??) – ecco che l’Orrore arriva e ci colpisce in pieno volto, come la ragazzina in biblioteca. La sequenza della sparatoria è annichilente: ancora una volta sei spettatore e non puoi fare niente, non puoi nemmeno sperare. Devi solo subire la brutale ineluttabilità di quello che sta succedendo. La brutale ineluttabilità del mondo, che è crudele dovunque tu sia, perché, come ci mostrano i fotogrammi finali, stiamo tutti sotto lo stesso cielo.

E allora dov’è la speranza? La speranza sono John e suo padre, fuori dalla scuola, mentre gli studenti fuggono. John e suo padre che si riavvicinano(okay, io la voglio vedere così!), per sempre.

9 pensieri su “Home Video: Elephant

    • No, non l’ho visto, me lo segno subito! Anche perché se è bello quanto Incendies non posso perdermelo!

    • Anche lui stupendo. E van Sant ha una classe nel rappresentare queste storie “toste”. Ho amato moltissimo anche Gerry!

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