31 Torino Film Festival (weekend 22-24 novembre)

22 novembre: inizio rude e violento, ma, soprattutto, di grande impatto con Drogowka, il film polacco da cui ero stata attratta perché la sinossi (che poi è quanto di più ingannevole esista) citava affinità con Olivier Marchal. Vero. Drogowka è un viaggio allucinante all’interno del microcosmo corrotto della stazione di polizia di cui il film tratta che, però, si rivela un intelligente mezzo per parlare della corruzione politica e globale in cui viviamo. Girato con una modalità originale e composita, tra filmati fatti con smartphone, videocamere di sorveglianza e macchina da presa, Drogowka fa invidia al mostro cinema di denuncia. Citato anche il “bunga bunga”, perché non abbiamo abbastanza di cui vergognarci. Assolutamente imperdibile.
23 novembre: ore 9:00 Noche. Introdotto da Soles de Primavera, un cortometraggio decisamente tenero ed efficace, capace di esprimere la forza e la contemporanea fragilità dell’ adolescenza inscrivendole in un contesto più ampio e fortemente connotato a livello filosofico, Noche è invece il film peggiore di cui potessi pensare l’ esistenza. Qui la sinossi è stata più che ingannevole: beffardamente ingannevole. Il regista ha probabilmente visto Post Tenebras Lux e ha pensato: vediamo se riesco a fare di peggio. Missione compiuta.
11,30: Loubia Hamra (Red Beans) non rientra nella mia idea di cinema, ma è stato un film carino e tenero da guardare, non privo di spunti fi riflessione. Non rivoglio questi 77′ della mia vita indietro (a differenza degli 85′ di Noche, che nessuno potrà mai restituirmi!).
14,45: House of cards. David Fincher è stato un fedele compagno in molte serate di inverno in cui, sotto una pesante coperta, apoallottolata nel buio, tremavo ogni volta che (morbosamente) rivedevo Zodiac (alla luce della recente visione di Prisoners posso affermare che Jake Gyllenhaal e gli scantinati sono un’accoppiata da brividi) e chi lo ha amato come me non potrà fare a meno di sentirsi”a casa” nel vedere la redazione, uno dei luoghi della serie. Troppo da dire su cast, regia e sceneggiatura (spettacolare), perciò mi limiterò a dire che nei titoli di testa il tocco di Fincher raggiunge una raffinatezza artistica quasi magica. Sono già in astinenza da questo serial!
17:00 Le démantèlement: primo film in concorso, presentato da Pilote, autore di Le vendeur, è un film meraviglioso che mi fa pensare al Kaurismaki de L’ uomo senza passato e di Le Havre, ma, allo stesso tempo, de Le luci della sera (tristissimo). Una fotografia dove spiccano colori alla van Gogh ci accompagna lungo il declino economico e non solo di un uomo che, da un impoverimento drastico e totale, esce arricchito di un’umanità ancora più grande. Bello da far male.
20:00 Frances Ha: una sceneggiatura di ferro, brillante e divertente e un bianco e nero che è una scala di grigi di una complessità paragonabile alla personalità della protagonista, una frizzante ma malinconica, grande ma piccina, divertente ma fragile Greta Gerwick che ha scritto questo originale ma classico Bildungsroman con il regista Noam Baumbach. E l’ eco di Woody Allen è innegabile.
22,30: Big bad wolves è iniziato con una sequenza che sembrava attingere al mondo dei Grimm e aspirare a una poesia del dettaglio che ha portato le mie aspettative decisamente in alto (oltre al fatto che nella sinossi si diceva che Tarantino aveva molto amato questo film e, dato che considero Tarantino l’ amico del cuore dei miei sogni, immaginate la fibrillazione pre-film). Purtroppo questo stile sublime non è stato mantenuto nella parte centrale del film, decisamente piacevole da seguire e, a tratti, impossibile da sopportare per la durezza del tema trattato. Peccato per un buco di sceneggiatura su cui sarebbe difficile soprassedere, se non fosse per la piega che il film prende in questa parte: il surrealismo fagocita la narrazione e, allora, tutto è concesso.  Il finale, invece, come l’ incipit, valeva decisamente l’ ingresso in sala.
24 novembre.  9:15: Ugly, un thriller di Bollywood che non lascia spazio a speranze per quanto riguarda il genere umano. Alla cupezza di alcune sequenze alterna, in modo straniante, l’ insensata avidità che rende crudele anche il più scialbo dei personaggi. Peccato per l’eccessiva teatralità di alcune performance che fanno sentire, davvero troppo, in certi punti, l’atmosfera di Bollywood.
12:00 Computer Chess è un salto negli anni Ottanta e nell’IA con uno stile filmico alla Flatland: i personaggi sembrano quasi bidimensionali, come se fossero pezzi di una scacchiera sotto lo schermo di un computer. Metafisico, astratto, nostalgico e con un finale lynchiano, questo film, in tutta la sua atipicità, mi ha decisamente conquistata.
14,30 Enough Said: James Gandolfini sul grande schermo a pochi mesi dalla sua morte è straziante, soprattutto per la dolcezza e la forza del personaggio che interpreta in questa commedia divertente ma per nulla banale in cui la presa di coscienza di sé non può prescindere dagli errori che facciamo nel giudicare gli altri. Spesso è proprio il modo in cui vediamo gli altri e come ci relazioniamo a loro a definire chi siamo.
19:45 Au nom  du fils: il film migliore tra gli 11 visti in questo weekend è belga, dipinto a tinte forti, dove la morte domina la scena: morte fisica, emotiva, ma, soprattutto, la morte spirituale che dà vita a un percorso di vendetta e, allo stesso tempo, di redenzione per Elizabeth, la protagonista. Rimasta vedova, una fervente cattolica perde anche il figlio, suicida a causa degli abusi subiti da un prete e che, ancora più drammaticamente, il ragazzo aveva confuso per amore. La donna inizia una terribile vendetta, attraverso cui si spoglia della parte di sé più bigotta e ottusa e riesce a diventare una persona intera.
22,15 C.O.G: secondo film in concorso tra le mie visioni, tratto da un saggio del magnifico David Sedaris, questo è un film carino, piacevole, intelligente e ben ritmato per i primi 60 minuti e gli ultimi 5, mentre perde un po’ di energia nella parte più cupa che, però, non ha la forza necessaria per porsi come opposto rispetto a quella più sarcastica e brillante. Un Denis O’Hare (che dopo AMHS mi terrorizza) quasi schizofrenico esprime tutte le contraddizioni dell’America iperreligiosa e perbenista che manifesta un livello di empatia subumano, quando si tratta di confrontarsi con qualcosa di diverso da ciò che si è deciso essere il giusto. E le mele erano spettacolari.