The Voices: Marianne Satrapi danza con l’horror

Ho conosciuto Marianne Satrapi con Persepolis e l’ho trovata coraggiosa, creativa e cazzuta (sì, oggi è la giornata della “c”). Poi ho visto Pollo alle prugne e l’ho trovata commovente e poetica, capace di parlare di sofferenza facendo ridere e sognare. Un bel vaffanculo alle struggi-stronzate italiane che mettono in scena drammi i familiari con gente che piange e urla e soffre, ma che ti sembra che non soffrano mai.

E ora leggo che fa un horror. Sono in estasi. Ma che horror potrà mai creare una come lei?
Un horror come The Voices, dove il sangue è brillante come sciroppo, i cadaveri sembrano bambole di porcellana e il cattivo, soprattutto, non è cattivo. E, per tutti questi motivi, questo film diverte e angoscia, rattrista e spaventa. E rimane. Non viene sciacquato dopo la visione da nuovi ricordi, nuovi film. Non viene spazzato dalla chiusura delle palpebre che dà il “pronti, sonno, via” (che poi sonno un paio di biglie, io mi sono svegliata tutta strizzata aggrappandomi al braccio del mio fidanzato dichiarando “ho avuto un incubo”, una cosa che ci si può credere poco, perché di incubi filmici, eccetto per The Babadook, non ne facevo dalle elementari). Cos’ha di speciale The Voices, al punto da colpire così tanto una che si è vista un sacco di horror, un sacco di film d’autore (che in buona parte si sovrappongono)?

thevoices0002

Alla voce “speciale”

The Voices prende una serie di cose che adoro (il kitsch, gli animali, la follia simpaticona ma imprevedibile, il montaggio con i controcazzi, l’ironia sottile che a una certa sguaia e poi torna in sè solo per sguainare più forte, le morti spettacolari slasherose) e cose che mi spaventano a morte (i serial killer, le persone buone genuinamente che poi sbroccano ma a differenza del l’ironia non tornano in se mai più, il male di vivere, quello vero, non il ciuffone che piange e si mette le collane con le lamette, né) e le fa andare a braccetto, gli fa fare una serie di gincane spaventose per cui sei tutto imbambolato e ti lasci guidare dai carrelli, dalla musica, dalla performance di quello che è stato per tutto quel film là in una bara sperando di salvarsi (tesoro caro, sei in una bara, cinematograficamente si è già detto tutto al minuto due, ma bel film!), dalla modalità originale di rappresentare la schizofrenia. All’inizio The Voices assomiglia un po’ a Lars e una ragazza tutta sua (dove è l’altro Ryan, il Gosling, a fare quello che non ce la fa tantissimo), ma presto ci accorgiamo che Lars può andare a ritirare il premio sanità mentale del Midwest, perché quello del giovane tenero disturbato l’ha vinto Jerry (Ryan Reynolds, appunto, che ho scoperto avere 38 anni anche se ne dimostra ben dodici!). E se i colori sembrano fuggiti da Amelie e Pollo alle prugne e La fabbrica di cioccolato mischiati da un orsetto del cuore strafatto di ecstasy dopo un rave con le musiche remixate di Enya (scusate, sono appena scivolata nel mio, di incubo) e le voci degli animali sono così carine e pucciose che ci fanno pensare: ma che coccolo Jerry, ecco che Jerry, in preda alla sua mega cotta (una cotta di una tenerezza brutale, giuro) per la collega inglese Fiona (la Gemma), si emoziona, si confonde, è pazzo e la uccide. La pugnala. Un sacco di volte. La smembra, la riduce a pezzi piccolissimi (dicevi così, papà di Benny’s Video?), le taglia la testa e la mette in frigo. Jerry soffre per averla uccisa, ma, ehi, che fortuna, lui può ancora parlare con la testa di Fiona, che è meno emaciata di me nei giorni in cui non ho l’allergia primaverile.

THE VOICES

Alla voce “problemi”

Solo che poi Marianne Satrapi, dopo averci, così, fatto accomodare sul suo bellissimo tappeto morbido e colorato, ce lo sfila da sotto il sedere e ci mostra il Male: Jerry, su suggerimento della testa di Fiona, prende le sue medicine (che assomigliano alle Frisk, quindi, occhio ragazzi, attenti a che caramelle comprate) e vede le cose come stanno: la casa è sporca, ci sono schizzi di sangue ovunque, i tupper con i tappi colorati e i coriandoli di Fiona sembrano pieni di chappi o simmental e pattume vario, la testa di Fiona assomiglia molto di più a me con l’influenza invernale e i suoi animali non parlano più. Di colpo il film assomiglia molto di più ad Angst. E non importa se Jerry corre a vomitare le medicine e riprende a vedere il suo mondo malato attraverso l’arcobaleno della follia. Quello che conta è che non ci sarà mezzo frame a seguire che guarderò senza l’agghiacciante consapevolezza che il vero mondo di Jerry è quello sporco, triste e pieno di sangue e sofferenza e, ancora peggio, che sto guardando il mondo, seppur caramellosamente, attraverso gli occhi squilibrati di Jerry.

How Fiona stacks up