TFF 2014

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Lo scorso anno sono stata al TFF quando ancora abitavo a Torino e ho visto una cinquantina di film, molti dei quali ho recensito in tre righe qui. Ora, vittima, dei 600 km che mi separano da quella che è stata la mia casa per due anni, proprio una Casa/home, mi sono potuta concedere sole le giornate del 21-22-23 novembre. E va benissimo, è stato un weekend meraviglioso (ovviamente potermi fermare per vedere tutti i film sarebbe stato ancora meglio, ma la cosa non ha modo di esistere nel mondo reale in cui sono ancora obbligata a vivere. E lavorare, che è la chiave di tutto). Eccovi delle brevissime primimpressioni, con la promessa di trasformare alcune di queste in veri e propri post.

21 novembre

17,30 Diplomatie di Volker Schlöndorff: la forza di un’opera teatrale ambientata per la maggior parte in una sola stanza sta nel dialogo. Ecco, nei momenti in cui il dialogo era sostituito da immagini di guerra, il film non funzionava. Un 6 pieno, ma non ha aggiunto nulla alla mia vita. Peccato, perché alcuni dei precedenti film del regista meritano.

20,00 Tokyo Tribe: quando abbiamo scoperto che ci sarebbe stato il nuovo di Sion Sono, il mio ragazzo e io abbiamo dato spettacolo in mensa (sul posto di lavoro, che classe!) dandoci il cinque e gridando “yeeee”. Vorrei tanto non averlo fatto. Quello “yeee” doveva andare a qualcos’altro. Era uno “yeee” speranzoso di assistere a qualcosa alla Love Exposure. Qui il kitch perde la sofisticatezza che Sion Sono è sempre riuscito a dargli. Il film è divertente, sguaiato, molto pop. Ma non c’è altro.

22,30 Phantom of the Paradise/ Il fantasma del palcoscenico: C’è altro da dire? Brian de Palma. Il meglio musical di tutti i tempi, accidenti. Una storia d’amore epica. Una tragedia strappanima. Siccome c’è molto altro da dire, presto arriverà un post tutto suo.

22 novembre

9,00 Who’ll stop the rain (K. Reisz): beh, se c’è qualcuno che può anche fermare la pioggia, quello è Nick Nolte. Ommioddio che personaggio epico-eroico. Che film incasinato. In cui succede di tutto e NN fa tutto: si fa fregare, salva la moglie dell’amico che l’ha messo nei casini, si innamora di tale moglie, sconfigge agenti federali corrotti, li inganna con un impianto tipo dolby surround che aveva costruito in mezzo alle montagne, si fa sparare, impazzisce, muore. Insomma, tanta roba. Bellissimo.

12,00 In your name: forse finirò all’inferno, ma sono uscita dalla sala. Io detesto i film che cercano l’autorialità nella tragedia. 38 minuti di strazio, un succedersi di ovvietà che dovrebbero mostrare il trauma per la morte di un figlio, ma non rendono minimamente giustizia al tema proprio sfruttando una serie di banalità che, alla fine, risultano insultanti. L’unico trauma è il mio: questo regista vorrebbe essere Haneke e nel tentare di emularlo fa un completo disastro. Per raccontare le tragedie senza far alzare gli occhi al cielo – il peggio che si possa fare è banalizzare una cosa orribile – o fai come Haneke, o come i Dardenne, oppure fai altro – tipo le commercial dei cereali in scatola. Capito Marco von Geffen?

14,00 Rolling Thunder: altro film della New Hollywood, altra perdita di un figlio. Alt. Tutt’altro stile. Dopo 40 minuti, quando il padre inizia a cercare vendetta limando l’uncino che ha al posto del braccio che gli è stato messo nel tritariufiuti da quelli che gli hanno ucciso il figlio allo scopo di rapinarlo dei 2555 dollari d’argento che gli erano stati donati – uno per ogni giorno di prigionia e tortura in Vietnam – ho capito perché questo film è un cult di Tarantino. 40 minuti e tutta quella roba lì.(e poi diretto da Flynn e sceneggiato da Schrader, che ha sceneggiato della roba incredibile)

In breve: William Devane, che non èun attorone conosciutissimo, ma ha la faccia di uno che abbiamo sicuramente visto (Nolan?) torna dal Vietnam dopo 7 anni e dopo aver subito torture indicibili. Torna assieme a un Tommy Lee Jones non proprio socialmente funzionante. Nessuno dei due, in realtà, sta benissimo e per il primo terzo del film pensiamo che sia una denuncia sociale sulla guerra e sui traumi post-Vietnam (di nuovo). E in parte lo è, pure fino alla fine. Ma il contesto è un pretesto per far regolare i conti a William Devane a un Tommy Lee Jones che non aspettava altro che sparare a qualcuno e che è imbarazzatissimo mentre una prostituta gli maneggia la patta, proprio perché lui sta solo aspettando di sparare a qualcuno. So che non si capisce un accidenti da quello che ho scritto, ma se ve lo vedete capirete che non potevo dire altro. Una bomba. Molto molto vendicativo (mi piace).

17,45 La chambre bleu (di Mathieu Amalric): tratto da un poco noto racconto di Simenon e diretto e interpretato da un occhigrandi Amalric, che nella regia è sobrio (al punto da essere molto televisivo), ma nella recitazione ha quello sbarluccico di talento ceh me l’ha fatto adorare da Lo scafandro e la farfalla in poi.

20,00 ’71 (Yann Demange): bomba assoluta. Ommioddio questo film merita tutta la mia ammirazione, stima, rispetto, adorazione. Bellissima fotografia dell’IRA, della vita nell’esercito, della gioventù e dell’animo umano, in tutte le sue migliori e, soprattutto, peggiori, sfaccettature. Con un Jack O’Connell talmente bravo che non ci potete credere. Questo merita un post tutto suo.

22,15 It follows (David Robert Mitchell): film della buonanotte. Finalmente un horror! Cosa segue chi? Una robaccia bizzarra, una sorta di mostro che può assumere le sembianze di chiunque, che cammina piano ma non è affatto stupido, che se ti prende sei morto (anche con la gamba spezzata al contrario che ti si infila in bocca, o quasi) e che lo puoi trasmettere scopando (va beh, funziona giuro, detta così non sembra una genialata, ma fidatevi che ne vale la pena). Oggesù che casino. Meno male che un giovane tamarro ci fa lo spiegone (a proposito, come accidenti lui lo scopra è un mistero, anche perché lui sembra l’anello mancante e non sembra probabile che abbia avuto un insight tanto rilevante). È una bomba di horror, fa paura, l’idea è intelligente, un sacco di richiami all’immaginario horror che piacciono ai cinefili. Bello, bello, bello, cupo e pop. Se volete saperne di più e, soprattutto, “di meglio’ andate qui.

23 novembre

9,00 Gentlemen: Mikail Maciman è un regista semisconosciuto. Perché? Non esiste un motivo valido, non c’è mezza ragione che tenga. È bravissimo. Lo sapevo un anno fa, quando vidi il suo primo film, Call Girl, sullo scandalo delle prostituite minorenni in Svezia (anni ’70), anche quello in concorso al TFF. Okay, ragazzi, io mi prenoto per il terzo. Questo è uno che nella turpitudine della Svezia anni Settanta ci sguazza e ci fa rivivere/vivere le atmosfere di quel periodo, di quella cultura, sa raccontare la Storia ma anche delle belle storie di esseri umani profondi, sfaccettati, dolorosamente belli, che restano. A breve un post.

12,00 Big Significant Things (Bryan Reisberg): mi si spezza il cuore. Un film che si apre come una commedia, ma è un piccolo dramma individuale grazie al quale ci accorgiamo di quanto prendere contatto con la propria fragilità possa essere una tragedia personale. Il regista esprime tutta la confusione, la solitudine e il dolore di una crisi esistenziale, perché si può stare malissimo anche se siamo in salute, abbiamo un lavoro, una vita, eccetera. Il dolore è dolore.

14,30 Whiplash (Damien Chazelle): chiudo in bellezza con un film sulla musica e un bellissimo bildungsroman di: a) un ragazzo molto talentuoso e troppo ambizioso (a tratti da prendere a schiaffi, ma si capisce che c’è sotto della buona materia umana) e b) un insegnante di un prestigioso conservatorio, anche lui molto talentuoso e molto che ha visto troppe volte Fullmetal Jacket. Scintille. Un montaggio perfetto nelle parti musicali. Un ritmo serrato che manco ti accorgi del tempo che passa perché sei dentro la storia, fino al collo e oltre. E l’insegnante è un J.K. Simmons fenomenale, il capo della fratellanza ariana in quella serie-capolavoro che è stata OZ. Adesso sapete dove ha fatto palestra di cattiveria.

E poi sono tornata a casa, con lacrime di gioia e tristezza che spingevano dal retro dei miei occhi. Mi mancava tutto questo cinema, tutta questa Torino, mi mancava qualcosa che ho provato in questo weekend e che, in realtà non avevo mai avuto prima e che avevo un po’ paura che tornando alla vita reale sarebbe un po’ sfumata. E invece no. La magia è rimasta con me.

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