Nymph( )maniac Vol.1

Attenzione: questa recensione è una versione non censurata e, perciò, lunghissima e un tantino agiografica (come è giusto che sia). 

Questa storia ha una morale. Lars von Trier ce lo dice da subito attraverso la voce della protagonista Joe. Dopo Melancholia, che è un’opera complessa, profonda, enigmatica e fortemente evocativa, Lars von Trier torna a sorprenderci con Nymphomaniac. E lo fa a partire dall’incipit, dove uno schermo nero e un leggero e ritmico rumore di sottofondo invitano al silenzio, all’ascolto: già dai primi istanti siamo stregati e pronti a prestare attenzione alla storia che il regista ci vuole raccontare. Il rumore che sentiamo è quello della neve che cade, filmata con lo stile inconfondibile di Lars von Trier, che unisce una semplicità disarmante alla poesia delle inquadrature, che sembrano seguire il cadere della neve al suo stesso, identico ritmo. Un ritmo che viene spezzato non appena il regista introduce la presenza di Joe, stesa a terra, immobile, martoriata, mentre Seligman (Stellan Skarsgaard, in una delle sue interpretazioni migliori) va a fare la spesa. Questa è una delle sequenze più potenti del film, perché unisce la grazia solitaria dell’uomo, che va a fare la spesa (con la sporta, con una tenerezza disarmante) in una piccola bottega, all’agghiacciante desolazione data dal corpo abbandonato di Joe, che si trova a pochi metri dall’uomo, ma in un contesto che appare molto più industriale, gelido. In questa drammatica transizione ci accompagna la musica dei Rammstein, metallica e violenta, quasi da film del terrore (e assolutamente fantastica, perfetta per portarci all’interno della sequenza successiva).

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L’orrore, in un certo senso, lo incontriamo da subito: Joe racconta a Seligman di essere un pessimo essere umano e di aver commesso atti di indicibile egoismo. Eppure, tutto quello che vediamo noi, non è altro che un essere umano. Punto. Il racconto della ninfomania di Joe è incalzante, provocatorio, umoristico; la sovrapposizione della narrazione delle sue esperienze sessuali con la spiegazione delle tecniche di cattura dei pesci è ben congegnata e abbastanza esplicita da far apprezzare tutto lo humor di cui Lars von Trier è capace. Anche lo stile utilizzato per mostrare la prima, degradante, esperienza della ragazza, è estremamente acuto: il modo quasi clinico con cui Jerry le toglie, su sua richiesta, la verginità è di forte impatto drammatico e la sovrapposizione con i numeri che rappresentano la durata effettiva del rapporto dà alla scena una forza visiva unica e spiazzante. (Scusate, ma Lars von Trier in questo è assolutamente geniale: mi sembra che stia recuperando dopo Antichrist, che, santo cielo, era profondamente deludente e abbia riconquistato da un lato una serietà introspettiva impressionante e dall’altro una spiritosaggine e un atteggiamento scanzonato che si combinano benissimo all’interno di questo film).

Il racconto delle conquiste di Joe mi ha fatto tornare alla mente un film di Rohmer del 1967, La Collectionneuse (La collezionista), un film anticonvenziale e intelligente che aveva profondamente colpito Lars von Trier e che nella traduzione danese aveva preso come titolo “La ninfomane”, come lo stesso von Trier racconta in Le cinque Variazioni. Ma la storia della ninfomania di Joe costituisce solo una parte di Nymphomaniac: questo film è un’opera di una lucidità straordinaria attraverso la quale il regista fa una profonda riflessione su sé stesso e sulla sofferenza. Questo non è solo un film che parla di sesso. Questo è, soprattutto, un film che parla di dolore. E lo fa attraverso Joe, che utilizza il sesso quasi come una sociopatica (vedere come sfascia letteralmente – con noia – la famiglia di uno dei suoi amanti, portando la moglie a fare una scenata: Uma Thurman è indimenticabile in questa sequenza e ruba la scena alla giovane versione di Joe), come un riempitivo che diventa il suo tutto, ma anche attraverso Seligman: è lui il vero portavoce della sofferenza e, a mio parere, del regista stesso. Già a partire dalla sua affermazione sul fatto di essere antisionista, che non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo, si può ravvisare un riferimento all'”incidente” di Cannes di due anni fa, ma, soprattutto, quando Joe chiede a Seligman se lui sia felice (dato che questo è il significato del suo nome) e lui le risponde “penso di sì, a modo mio”, con un’espressione malinconica, Lars von Trier racconta in sei parole la condizione di chi ha conosciuto la depressione e, con essa, sé stesso, in tutta la sua impossibilità ad essere felice come ci si aspetterebbe da chiunque (ancora una volta, scusate: da qui in avanti, nel film, sono stata accecata dall’ammirazione e questo mi ha aiutata a sopportare gli evidentissimi tagli fatti con una cippatrice, alla cieca, da qualcuno che non è assolutamente Lars von Trier, né un suo amico, né un suo lontano conoscitore, ecco).

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Anche Joe è una creatura profondamente infelice, non solo per come racconta la sua storia, con il distaccamento (quasi patologico) di chi si è guardato dall’alto per tutto il tempo, ma non ha mai partecipato davvero, ma anche perché le uniche emozioni che prova sono legate al dolore e alla perdita. Due sono le gravi perdite subite da Joe. La prima è la perdita del padre (Christian Slater), un uomo di una dolcezza straordinaria, morto in preda al delirium tremens, una morte che von Trier ci mostra con una sequenza straziante in cui l’uso del bianco e nero è raffinato e delicato e rappresenta una morte orribile con un rispetto che non dedica agli altri capitoli della vita di Joe (in questo non posso fare a meno di pensare alla morte della contadina di Il nastro bianco, dove con un’inquadratura fiamminga e fugace e, soprattutto, attraverso la figura del marito sofferente che dice che non c’è nulla da fare, ci fa capire che non c’è bisogno di indugiare irrispettosamente sul dolore degli altri, filmico o meno che sia). Girare la scena a colori e con un’eccessiva attenzione ai dettagli più drammatici, quella sarebbe stata pura pornografia. La seconda perdita è quella di Jerome (che altri non è che Jerry), l’unico uomo che lei abbia mai amato. Proprio quest’ultimo viene rappresentato come l’oggetto d’amore quando Joe, tra la folla, cerca dettagli negli altri uomini che le ricordano lui, in una scena la cui grafica ricorda moltissimo L’apparato Umano, il cortometraggio di Jorg Leth che, ne Le Cinque Variazioni, Lars von Trier fa eseguire a Leth in cinque diverse modalità (in modo assolutamente brillante e pedante e antipatico, ma riuscitissimo). Anche Jerome è l’apparato umano, in un certo senso, l’unico uomo completo, intero, mente e corpo, con cui Joe abbia avuto una relazione.

Questo primo volume mi lascia pensare che Lars von Trier abbia ancora molto da dirci e che non si tratti di nulla di banale. Anzi, era molto che non veniva gettato uno sguardo così diretto alla sofferenza e che con tanta ferocia e poesia allo stesso tempo non ci si interrogava sulla vita nella sua interezza. “Aspettiamo tutti il permesso di morire”, ci dice il regista e, con questa affermazione, credo che voglia sia mostrare quanto sia difficile vivere, ma anche quanto sia importante il modo in cui decidiamo di farlo.
Da vedere assolutamente.

2 pensieri su “Nymph( )maniac Vol.1

  1. Bellissimo commento, mi spiece proprio che l’abbiano letto in pochi, difficile vederne di migliori.
    Ma ricorati 3 cose:

    1 si scrive principalmente per noi, o come terapia, o come piacere o come bisogno irrefrenabile di farlo

    2 i blog a volte cominciano ad andar bene in modo del tutto inaspettato

    3 l’importante è averle scritte le cose, poi si possono sempre recuperare e far leggere o portare in altri luoghi (io ad esempio da poco ho scoperto lo splendido filmscoop e ci sto portando piano piano tutte le rece).

    Ma a parte questo…

    Sono d’accordo su tutto e mi è piaciuto soprattutto tutto il primo splendido paragrafo dedicato al prologo.
    E quello sulla morte del padre.
    Ho vissuto le stesse sensazioni e, bene o male, colto le stesse tematiche.
    Ma è stato importante per me recensire il film tutto insieme, anche te ad esempio avresti parlato di Seligman in modo diverso o comunque ambivalente.
    Questo è un film, non due film, per me non aveva senso recensirlo spezzato.

    Vado a vedere la parte 2 🙂

    • Guarda mi sono mangiata le mani per averlo spezzato, ma ho scritto dopo la visione di ciascun capitolo, non potevo aspettare! Purtroppo la fretta di scrivere quanto è grande Lars mi ha fregata nell’avere una percezione omogenea di quello che è un grandissimo film!

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