Mad Max: Fury Road

A parte che il film è epico di per sè, anche la mia consunzione della visione è stata epica: l’ho visto l’ultima sera che era in sala, nell’ultimo cinema che lo proiettava e, se la sala fosse stata vuota, anche se poco ci mancava, sarebbe stato quasi come il corto di Cronenberg per Chaucun son cinema, ma senza suicidio.

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Mi sarei persa questa cosa qui

Perché ho aspettato a vedere questo film, che, non posso aspettare un secondo di più per dirlo, è una bomba di proporzioni monumentali, una cosa che ancora mi viene voglia di urlare ammirami! a ogni passo che muovo, se non fosse che non so di cosa dovrei essere ammirata. Perché, dicevamo, prima che perdessi irrimediabilmente il filo?

Bene. Vita privata: un piccolo spiraglio per il bene del Cinema. Il mio fidanzato e io, circa sei mesi fa, vediamo il trailer di Fury Road, ci guardiamo con gli occhi sbarluccicanti, tutti innamorati l’uno/a dell’altra/o ma anche delle esplosioni e ci diciamo: lo vedremo assieme. Gioia. Entusiasmo. Amore. Eccetera. Poi, il lavoro, mesi lontani e la notizia drammatica: Fury Road esce un mese prima che lui torni. E siccome, non so cosa ne pensiate voi, ma secondo me vedere un film che si voleva tantissimo vedere assieme a quasi 9000km di distanza, con gli occhi lucidi e il cuore spezzato, un film d’azione poi, non ha nessun senso ed è la negazione totale dell’amore e dell’amore per il cinema (vuoi mettere vedere FR con la faccia triste, singhiozzando mentre sorseggi una coca cola zero e ti sfili le ballerine e ti appallottoli sul sedile, perché al cinema fa sempre un freddo becco, mentre gente vestita strana si spruzza roba argento sulla bocca, grida Valhalla, ammirami, salta sulle moto, esplode, muore tanto, eccetera? No, grazie).

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Vi giuro che anche durante questa sequenza qui avrei pianto (!)

Quindi abbiamo aspettato e, finalmente, pochi giorni fa, ci siamo rivisti e abbiamo visto Mad Max: Fury Road. FINE INCURSIONE DELLA VITA PRIVATA.

Mi ricordo che quando vidi 127 ore, la prima cosa che ho detto all’amica che era con me, una volta uscite dal cinema, è stata (dopo, madonna santa che schifo il fischio e il tendine, versi strani): che montaggio, che ritmo. Ecco, il ritmo, il montaggio veloce fatto bene, cose di questo genere sono fondamentali, per me. Se fai un film lento, con me, hai buone chance di piacermi e sopravvivere al mio giudizio, perché magari ti chiami Michael Haneke o, se vogliamo qualcosa di più gioioso, David Fincher. Cioè, io sono una di quei pessimi soggetti che vedono il trailer di qualche film in cui sembra che la camera fissa domini e penso: vediamolo. (poi magari me ne pento amaramente eh, ma sono fatta così).

Quindi, il montaggio veloce da brava secchiona mi piaceva causa avanguardia russa da Eizenstejn in poi, da Charlie Chaplin in poi, a cui evidentemente piaceva quel cinema russo lì e sono dell’idea che il montaggio veloce e ritmato, se fatto bene, sia una delle cose più trascinanti di cui il cinema è capace. Se fatto male (vedere ultimi 30 minuti di Cloud Atlas) può rendere una creatura già mal riuscita ancora più insoddisfacente, perché dà una patina di cheap che non mi piace affatto.

Fury Road è tutt’altro. Il montaggio non lascia spazio a un respiro che sia uno e, come mi ha fatto notare l’aforementioned moroso, la scena tranquilla di raccordo è Max che sta appeso sotto la blindocisterna (blindocisterna!) a riparare il motore. Quella cosa lì per Miller è una sequenza tranquilla, si vede.

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FR è un film assoluto, perché parla del bene e del male, di matriarcato e patriarcato, prende un po’ tutti i topoi legati a mondi nuovi, al post-apocalittico e te li sbatte di fronte come a dire: hei, queste sono le colonne portanti della mia storia. Stop. Non ci ricama, non ci indugia, non schiaccia nessun pedale emotivo, non fa nulla di superfluo. In questo senso FR è minimalista: dice tutto quello che deve dire, senza sprecare parole, senza precare minutaggio in qualcosa che comunque è volatile – visivamente Geroge Miller il minimalismo non sa neanche in che continente abiti, di certo non in Australia. E la cosa ci sta benissimo. FR non è un film di dialoghi, ma ciò non implica che non sia un film di significati. Se vuoi portare una dimensione tribale sullo schermo, questo è il modo migliore che ci sia. Solo che non lo sapevamo finché non abbiamo visto FR. Miller ci mostra un universo in cui arriviamo quando la storia è già sviluppata e da cui ce ne andiamo quando la storia sta per svilupparsi su uno snodo diverso. Assistiamo a una fetta di storia in una fetta di un mondo che audiovisiamente dice tutto quello che c’è da dire. Veniamo assaliti, sballottati, stupiti da questi eroici personaggi che sono tutto fuorché gli eroi p.d. cui Hollywood ci ha abituati. Il massimo sacrificio, quello di Nux, il personaggio di Nicholas Hoult (About a boy!), prende dieci secondi di tempo: ammirami! morte. Salvezza per gli altri. Non c’è neanche il tempo per un pianto, perché la fuga è ebefrenica, la fuga è in realtà una gara a chi arriva primo alla Cittadella e alla risorse. Eppure questo sacrificio che di tempo filmico ne consuma veramente poco, è stato preparato fin dall’inizio: dall’ingresso in scena di Nux, Miller ha preparato, frammento per frammento, quel momento. La sua disperata fragilità, il suo essere in realtà speranzoso e ingenuo come un bambino, un figlio della guerra tradito dal suo padre(one), la volontà fortissima di morire per qualcosa o per qualcuno: pezzo per pezzo Miller ha costruito il perfetto non-eroe capace del gesto eroico supremo. Nessuno è coraggio a 360 gradi; il coraggio, di solito, arriva dopo tante altre cose. E Miller l’ha capito e lo sa ed è per questo che i suoi personaggi emergono con una definzione fortissima dalle loro azioni.

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Fuorisa è grandiosa, potente, credibilissima e Max è un personaggio reso protagonista dal suo silenzio e dalle sue espressioni. Credo che se possiamo dire che Charlize Teron sa essere anche sguaiata, feroce restando ferma e dotata di una dolcezza che sembra ossimorica ma invece no (!) e in questo è molto intensa, allo stesso modo Hardy è capace di essere altrettanto intenso nella sua performance che usa solo i gesti e le parole necessarie, che è esattamente quello che dovremmo aspettarci da un tipo cazzuto che ha subito tanto e ha imparato a sopravvivere mangiandosi lucertole a due teste e restando legato a una macchina mentre gli viene pompato via il sangue eccetera. Max è straordinario nel rendere la sua straordinarietà come se fosse qualcosa di dato, di normale, sottotono.

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E il cattivo, Immortan Joe, che ha una faccia ma la cui identità non conosceremo mai (anche se l’attore è uno dei cattivi del primo, un ottimo esempio del fatto che riciclare è Bene), è il male puro, per eccellenza. Al male non possiamo dare una forma o possiamo darne un’infinità. Però, con tutti gli aspetti che possiamo attribuirgli, il Male è sempre la stessa cosa. E Immortan Joe, ragazzi, è terrificante.

A costo di essere tacciata di follia ho paragonato l’idea che sta dietro a Fury Road a quella di Infinite Jest: il tema non centra un accidenti, i personaggi di IJ sono creature estreamamente verbali quanto lo era il suo creatore, ma, anche lì, noi non abbiamo scelta se non quella di assistere passivamente alla creatura che l’autore ha deciso di costruire. Il mondo che ci mostrano è già lì, con tutte le sue sfaccettature, le sue complessità, la sua solidità (entrambi funzionano alla grande) e noi non possiamo fare altro che starcene lì, attoniti, ad ammirare questa grandiosa realtà.

4 pensieri su “Mad Max: Fury Road

  1. Purtroppo non l’ho visto. Ho evitato. Di solito temo i rifacimenti. Mad Max Interceptor per me è un cult per scenari e ambientazione. Ma visto che parli di “grandiosa realtà” e ovviamente tutto il resto, sicuramente merita la visione 🙂

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