La grande Bellezza

Sono fortunata. Sono fortunata perché poche sono le volte in cui capita di vedere un film e sentirsi toccati nel profondo, non solo dalla bellezza delle immagini, delle parole, del significato, ma, anche, da un sottotesto che sembra specificamente scritto per rispondere alle domande da cui si è tormentati. Con cui ci si tormenta, giorno dopo giorno. Ma, in fondo, lasciarsi tormentare dalla propria voce interiore, anziché soffocarla e sovrastarla con il rumore e il chiacchiericcio, è l’unico modo per dare un senso alla propria vita.roma

Questo è uno dei significati che passano attraverso lo schermo, una delle sfuggenti ipotesi di verità che aleggiano nell’aria di una Roma allo stesso tempo contemporanea, quando ritratta, con la poesia ravvisabile in ogni opera di Sorrentino, nella sua superficiale e sovrabbondante umanità e senza tempo, nelle inquadrature con grande profondità di campo che la immortalano in tutta la sua eternità, come se fosse uno stato della mente.

servillooLe parole di uno dei capolavori di Celine aprono il sipario su uno scenario straripante in cui è l’horror vacui a dominare: frotte di esseri umani ammassati l’uno sull’altro e impegnati a dimenarsi in degradanti balletti, performance di allegria e rituali di socializzazione vuoti e privi di significato, in cui l’unica cosa che conta è la maschera che si mostra agli altri, un sorriso così tirato da sembrare doloroso, come quello con cui Jep (un bravissimo Toni Servillo) si presenta, protagonista della festa che festeggia i suoi sessantacinque anni. E li festeggia come se fossero quindici.

Il personaggio di Jep attraversa il film come un percorso alla scoperta, nemmeno troppo intenzionale, di sé stesso. Quando decidiamo che è ora di cambiare, di dare un senso a ciò che facciamo, diciamo, al modo in cui ci impegniamo per essere nel mondo? A volte è la vita a decidere per noi, sotto forma di una serie di eventi che diventa impossibile ignorare, anche se agli occhi degli altri non sono altro che qualcosa che non è capitato a loro e che, nel giro di un attimo, è dimenticato. E, spesso, questi eventi consistono nella morte di qualcuno. Ma non è la morte in sé a definire il senso, è la vita che l’ha preceduta, il modo in cui ci si arriva, alla morte.

Jep esce ogni sera, quando non balla passa il tempo a parlare con gli amici, a riempire l’aria di tante parole, lunghe, belle, intelligenti, ma estremamente, dolorosamente vuote. Alla fine di ogni conversazione dei personaggi una terribile sensazione: ma che cosa hanno detto? Qual è il senso? Non c’è un senso. È solo l’horror vacui, la paura del presunto vuoto, del silenzio del mondo che costantemente tentiamo di spegnere con le chiacchiere, le feste, la musica assordante, l’autocelebrazione e le illusioni, le apologie di sé e delle proprie mancanze che, con tante, tante parole, facciamo diventare pregi. La verità, quella che emerge nel silenzio e nella solitudine, da noi stessi, diviene così assordante che l’unico modo per sopravviverle è schiacciarla con il pesante fracasso della mondanità. I personaggi del film di Sorrentino – e i personaggi del mondo in cui viviamo – si costruiscono un palcoscenico e continuano con la finzione: di essere eternamente giovani, di essere persone corrette, di essere intangibili, di essere importanti senza saperne il perché, costretti a costruirsi un’immagine di sé che sia vagamente sopportabile all’impietoso sguardo che, in qualche raro momento, ci capita di rivolgerci. Il pregio di Jep è quello di essere pienamente consapevole di tutto questo, il suo problema è quello di esserci dentro con tutto sé stesso. La schiettezza del protagonista è l’elemento maggiormente umoristico del film, che si esprime soprattutto nella critica brutale ma mai superba alla vacuità della società in cui vive.toni-servillo-la-grande-bellezza Strepitosa è la sequenza in cui, incaricato di intervistare una performer che si scaglia nuda contro i muri (di gomma piuma), Jep smaschera la sedicente “artista” – che parla rigorosamente in terza persona – mostrandole quanto ciò che fa sia insignificante, in quanto lei stessa non è in grado di dare alcun senso né alle sue performance, né alle sue parole, giustificandosi dicendo che un’artista non deve spiegarsi. Io sono convinta che un arista non debba spiegarsi solo quando la sua arte è in grado di parlare per lui/lei. Come diceva FrancisHoyland «l’arte è un mezzo di comunicazione, con cui una mente riesce a raggiungerne un’altra attraverso grandi intervalli di spazio e di tempo, così come attraverso la morte» ed è un ponte tra l’anima dell’artista e quella del suo spettatore, per parafrasare Delacroix.

Il suicidio del giovane figlio di un’amica – se così si può chiamare – e la morte di un’amica nuova, diversa, semplice nel suo essere esagerata, contribuiscono a demolire la corazza di Jep, solida da quarant’anni, da quando questi ha scritto il suo unico romanzo, dall’ultima volta in cui si è dato il tempo di ascoltare sé stesso. Il film ruota attorno alla necessità di fermare tutto il caos e la spirale di superficialità e ascoltare sé stessi e gli altri: non solo è stupido auto incensarsi, ma anche la critica è inutile. Sono solo modi di sfuggire alla verità.

La grande bellezza è un film che lascia ammutoliti, con la mente affollata dai pensieri e, allo stesso tempo sgombra: ho in mente mille idee a cui non posso e non voglio dar forma, sopraffatta dalla bellezza della verità che questo film è riuscito a catturare. E, mentre torno a casa, dalla porta delle mie – neanche a dirlo – molto social vicine di casa esce un’assordante musica tamarro-latina-techno (una chimera abominevole) e risatine acute che neanche la Keira isterica di A dangerousmethod riusciva a produrre. E allora mi dico che se perdo tempo a irritarmi e a giudicare non avrò imparato niente nelle ultime due ore e mezza. E allora ascolto me stessa e, come se respirassi, scrivo.

3 pensieri su “La grande Bellezza

  1. Non sono riuscito a trovare tanta poesia, il duo Sorrentino/Servillo stavolta non è riuscito a colpirmi dentro. Il film è molto più che gradevole, la tecnica è eccelsa (seppur ci siano un paio di cadute di stile che manco in un film Asylum), ma non è andato a fondo nella società, nei personaggi e nella storia: critica alla chiesa blanda, analisi dei personaggi blanda, evoluzioni banali e senza alcun significato, tutta la storia gira intorno alle tette della ragazzina che Jep ha visto da bambino alla fine, e ci son rimasto male, parecchio male, alla fine.

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