Her

Con Her (Oscar 2014 per la miglior sceneggiatura originale), Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee, Nel paese delle creature selvagge e, attenzione, sceneggiatore di Jackass) consolida il suo sodalizio musicale con gli Arcade Fire e la sua esplorazione del tema dell’intelligenza artificiale. O meglio, dell’intelligenza artificiale e delle emozioni autentiche. Come già nel meraviglioso cortometraggio I’m Here (che è un piccolo capolavoro), anche qui Spike Jonze si concentra sull’amore e non lo fa come lo farebbe chiunque altro. Dove molti hanno banalizzato, Jonze recupera l’essenza reale di un sentimento ormai cinematograficamente abusato. Questo regista ha la rara capacità di ridare vita alle tematiche più note e di riproporle sotto una nuova luce e ci fa sentire come bambini che, esplorando il mondo, scoprono le cose per la prima volta. Un po’ come i protagonisti del film, Theodore (Joaquin Phoenix), un uomo solo e invischiato negli strascichi emotivi di un doloroso divorzio e Samantha (voce di Scarlett Johansson, miglior attrice al festival di Roma), un sistema operativo. Entrambi, infatti, scoprono il mondo in modo inatteso e per nulla banale e imparano l’uno dall’altra e viceversa a guardare alla vita con occhi vivaci e pieni di curiosità e di voracità per la conoscenza. Theodore si guadagna da vivere scrivendo meravigliose lettere per conto di persone che non ne sono in grado (o non ne hanno voglia?), è a modo suo un poeta, ma l’intensità con cui scrive lettere per gli sconosciuti non ha nulla a che vedere con il modo in cui gestisce i rapporti con gli altri, in cui armeggia in modo confuso limitandosi alle chat room.

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Questo film è un Bildung, una fiaba, un viaggio e un’avventura in cui Spike Jonze ci conduce per mano (e a tratti ce la stringe) assieme a una colonna sonora eccezionalmente perfetta in un universo disseminato di dettagli dotati di una creatività estremamente vitale, come il pestifero bambino alieno del videogioco o il receptionist che dice “ti piace la mia maglia?” e che è esattamente il negativo della maglia dell’omino stilizzato sul suo bancone. her-alien

A questo si aggiunge la splendida veduta  che si ha dall’appartamente di Theodore e il panorama urbano vagamente futuristico, ma ancora abbastanza riconoscibile da risultare, proprio per la somiglianza con il nostro presente, estremamente suggestivo, le sculture nelle teche di vetro che ricordano i dipinti illustrativi di James Jean e quei bizzarri pantaloni che la maggior parte dei protagonisti maschili (inspiegabilmente) indossa.

Magistrale, inoltre, la scelta dei protagonisti: Joaquin Phoenix viene da una serie di film in cui si è imposto come valida alternativa a molti altri giovani attori del panorama hollywoodiano e si è distinto con uno stile così personale da rendere i film che interpreta anche un po’ suoi (tra gli altri The Master, in cui è stato così intenso da riuscire a brillare anche accanto al meraviglioso Philip Seymour Hoffman e al mockumentary di Casey Affleck Io sono qui). E mai ci fu sistema operativo più umano di Scarlett Johansson, che ha prestato la sua voce anche alla splendida The Moon Song.

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La storia d’amore inusuale, ma a modo suo anche ordinaria (vedere i litigi e le incomprensioni tra Theodore e Samantha) è il modo in cui Jonze riesce a fare un’ampia e profonda riflessione sulla condizione umana, in particolare sulla solitudine e quanto da questa fuggiamo anche allo scopo di non confrontarci con parti di noi stessi che non siamo pronti ad accettare e, soprattutto, a cambiare. Spike Jonze riesce a dare un nuovo senso alla parola “amore” e al sacrificio che, talvolta, è necessario fare per «salvare» chi si ama. Anche per questo Samantha è un personaggio fortemente umano. All’inizio Theodore è completamente solo di fronte a un vuoto esistenziale quasi kafkiano, in un modo in cui tutti sembrano parlare da soli (ma parlano con i loro sistemi operativi o in delle chat in cui il contatto umano è solo una mera illusione – e in cui si aggirano personaggi inquietanti) e questa condizione migliora solo nel momento in cui instaura un rapporto con il suo sistema operativo. Ma quella che può apparire come una bellissima storia d’amore può diventare una prigione in cui la solitudine diviene solipsismo e ci si dimentica del resto del mondo e delle altre persone, che non sono solo pagine face book, voci senza corpo e tantomeno sistemi operativi. E solo abbracciando la solitudine e accettandola senza affannarsi a riempire il vuoto possiamo recuperare noi stessi e la nostra umanità.

10 pensieri su “Her

  1. Recensione che mi trova in linea di massima d’accordo. Siccome a volte mi piace dare un seguito a qualcosa che mi colpisce convincendomi all’istante che è pura accademia e che certe cose nascono per avere una fine definitiva che non si presta ad alcuna interpretazione (un po’ contorto ma spero di essermi fatto capire), il prendere coscienza degli OS mi porta al bivio:

    Legge di Asimov, e quindi i computer non nuoceranno mai ad alcun essere umano O presa di coscienza alla skynet della saga Terminator con conseguente guerra a ogni essere vivente?

    Her, per fortuna, finisce nel momento in cui deve finire come quasi tutte le storie finiscono.
    Qualcuno lascia, qualcun altro rimane, solo coi suoi pensieri….
    Mai macchina mi sembrò più umana, e non solo per la voce di Scarlett… (evitate come la rogna la versione doppiata)

    • Sul tema guarda I’m Here, mediometraggio di Jonze. Bellissimo, una cosa speciale davvero

  2. Ammetto, andando indietro era il turno di Nymphomaniac ma per ora mi spaventa la doppia recensione 🙂
    Quindi ho saltato di uno ed eccome qua.
    Film magnifico.
    E’ vero, incredibile che io non abbia citato I’m here che avevo visto ed amato.
    Ma da poco ho visto la bellissima serie Black Mirror e c’è un episodio che ricorda tantissimo Her, così tanto che ripensandoci un pò, ma veramente poco, mi fa abbassare il valore.
    Un piccolo appunto, non parlerei di mockumenatery di Casey Affleck per I’m still here (curioso, I’m here e I’m still here nello stesso pezzo) perchè in realtà quel mock è puro Phoenix, credo che sia suo al 100%, Affleck per amicizia l’ha solo ripreso. E poi è veramente solo un mock? io non sono affatto d’accordo, ma ne ho già parlato.
    Jonze è così, è magico, io ho amato anche le creature selvagge per quella sua capacità di farci tornare bambini ed esaltare il gioco.
    Bellissima tutta la tua ultima parte.
    Ma lei dove è andata?
    E’ qui uno dei misteri e delle fascinazioni di Her

    • Penso che quello che apprezzo di più di Spike Jonze sia che riesce ad arrivare talmente in profondità, ma in un modo non invasivo per lo spettatore (perché passa da un livello di (passamela) “immaginifichevolezza” che ti fa sentire in un’altra dimensione) che riesco esattamente a sentire il mio cuore che fa crack a un certo punto. E con Here e I’m Here è stato proprio così, I’m Here mi fa ancora venire i brividi!

      • mi sa che devo recuperare “I’m still here”; comunque concordo con entrambi: finale di recensione da storia della recensione e Jonze che riesce a entrarti dentro, parlando d’altro, ma che rimane pure a fine visione, e anche dopo, ripensandoci

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