FrightFest2015: Giorno III

Giorno III

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10. Bait: il regista, tale Dominic Brunt è di un coccoloso che non si può descrivere. Umilissimo, affezionato alla sua creatura, la presenta con un misto di fierezza, soggezione e speranza che mi hanno predisposta a digerire il film anche nel caso in cui fosse stato deludente. Invece mi è piaciuto parecchio: un po’ kitchen sink drama, un po’ revenge thriller, un po’ commedia nera, Bait è un film amaro, cattivo, sofferto, non privo di un’ironia molto consapevole e un’ambiguità finale non banale. Bravissime le due (cazzutissime) attrici che trascinano il film verso un finale violentissimo e pulp, in cui ci gustiamo ogni secondo in cui il cattivo subisce – anche in questo, un cattivo costruito così bene che verderlo distrutto è un piacere, in un modo molto tarantinesco. Delizioso il corto-riassunto finale di Lee Hardcastle – curiosità: lui fa anche un cammeo in cui fugge dal picchiatore di uno strozzino. La scena inizia con Hardcastle, che ha un aspetto tutt’altro che rassicurante, che scappa spingendo una carrozzina: giuro che “è un povero padre di famiglia con debiti che cerca di mettersi in salvo” non è né la prima, né la seconda cosa che ho pensato.

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11. The Nightmare: è ufficiale. Rodney Ascher con i documentari ci sa fare. Già mi era piaciuto Room 237, questo fa un passo ancora oltre. Qui l’argomento sono le paralisi notturne e il resto lo fa tutto Ascher: raccoglie le storie di otto persone che soffrono dello stesso – terribile – disturbo e lo fa andando oltre il formato del documentario, con i filmati sciatti delle interviste e le drammatizzazioni delle esperienze: qui viviamo l’incubo mentre viene raccontato, come se i tormenti notturni delle persone intervistate fossero dei piccoli corti horror. Anche lo stile con cui viene filmata l’intervista non ha nulla di televisivo o sciatto – è inquietante anche quello. Sicuramente ci troviamo in una delle rare occasioni in cui si ha l’impressione di vedere sì un documentario, ma diretto con un preciso stile. La mano del regista si fa sentire in tutta la sua forza. Ho adorato le trasposizioni degli incubi e, ancora di più, ho apprezzato l’operazione meta per cui, a un certo punto, l’attore che interpreta la figura demoniaca che sembra essere una costante per chi soffre di paralisi notturne, viene ripreso mentre esce dall’incubo di una ragazza ed entra nella stanza del set/l’incubo di un altro. Un gran doc. Da vedere.

shut in poster12. Shut in: continuavo a scrivere “Shit in” con il telefono, per sbaglio. Il mio moroso mi ha gentilmente fatto notare che, di lì a poco, avrei scoperto se i miei refusi fossero epressione del dono della chiaroveggenza o meno. Nì. Nel senso: se fosse stato il pomeriggio di Italia uno sarebbe stato una bomba esagerata. La trama, però, era un po’ da giallo del sabato di rai2, senza le intermittenti scene porno-erotiche che non centravano niente con la trama ma si supponeva che chi stava a casa al sabato sera e sceglieva consciamente di vedere il giallo di rai2 forse le avrebbe gradite. No. Ecco, no ragazzi. Chiusa parentesi. La storia è quella di una giovane e graziosa ragazza che soffre di agorafobia, accudisce il fratello malato terminale, ha una cotta per il ragazzo che consegna i pasti a domicilio per la gente che sta male ma è evidentemente socially impaired quindi amen e ha un sacco di soldi in contanti in casa. Entrano tre baldi giovani sperando di rapinarla mentre lei dovrebbe essere al funerale del fratello, ma lei, con un vestito strafigo da funerale, è rimasta a casa perché, appunto, molto agorafobica. Seguono inseguimenti, urla, legamenti, torture psicologiche. Finché lei non si libera, uccide uno dei ladri, schiaccia dei bottoncini da una consolle così vecchia che pare steampunk e la casa inizia a sputare fuori scale, botole, passaggi segreti. Seguono torture psicologiche ma soprattutto fisiche, a ruoli invertiti. E uno spiegone non soddisfacente. Capito che aria tira? Però il tutto è fatto piuttosto bene, l’attrice era effettivamente bravina, il ritmo piuttosto serrato e senza momenti morti e, alla fine, mi sono divertita a guardarlo e mi è anche piaciuto un po’. Sicuramente non imperdibile, rientra appieno tra quelli che definisco “horror rilassanti”. Pro: almeno non è il solito home invasion.

13. Rabid Dogs: se c’è una nota dolente, è questa. Sì, perché, fino a questo punto, Cherry Tree mi ha fatto male perché iniziava non bene ma benissimo e poi ha rovinato tutto. Landmine goes click iniziava male quando il regista l’ha presentato dicendo “vi farà pensare per un po’ di giorni dopo la visione” ed effettivamente ci ho pensato spesso, a quanto era autoindulgente e brutto. Ma il remake francese di Cani Arrabbiati (capolavoro del nostro, NOSTRO!, Mario Bava), sebbene mi spaventasse, mi attraeva terribilmente. Io mi sono immaginata un regista alla Kassovitz (ma evidentemente non ce ne sono molti) che mettesse in quella accidenti di macchina gente alla Vinz, Hubert, Said. Gente che non ha molto da perdere, che si incazza in fretta, piena di turbe sociali, che prende ostaggi e li terrorizza, che suda, grugnisce, che tortura psicologicamente. E invece mi sono beccata questa cosa qui:

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Il regista dever aver pensato che spettinare Virginie Ledoyen era gia` un gesto estremo – la scena della pipi` a cosa serve? Basta spettinarla un po’

L’idea di patinare un po’ il tutto ci sta: macchina fichissima usata per la rapina. Ma poi sorreggi l’impalcatura patinata aggiornando la storia con le nuove tecnologie (qui non c’e` traccia invece). Non basta far vedere Virginie Ledoyen che si prova della biancheria costosa per rendere il film piu` “francese”. Se devo essere io, che nel mio piccolo non ne so un accidenti, a spiegare a un regista francese come fare un film “francese”, allora siamo messi male. Le giacche di pelle da fighetto e la macchina con la vernice opaca effetto neoprenemutadasubgommata sono solo una nota dolente, segno che qui non solo e` stato fatto un lavoro superficiale, ma che di Cani Arrabbiati questo Eric Hannezo non ha capito un accidenti. Come direbbe il grande Winnie Poo: Oh Rabbia.

14. Deathgasm: c’è il regista in sala. Jason Lei Howden è un giovane raga neozelandese con i capelli rossi, il giubbotto galeotto di jeans pieno di spille (quanti amici metallari avete avuto con quell’outfit lì?), le converse e tutto quello che generalmente vi aspettate di vedere indosso a un metallaro che però ha 30 anni quindi niente zeppe di metallo. Super out loud, gasatissimo ma in modo davvero carino e umile, entusiasta, ci chiede di fare una foto di gruppo con le mano a mo di corna metal e urlare DEATHGASMMMMMMMMM!!!!!!!! Okay, penso, se il film fa schifo dopo tutta sta hype vado e lo prendo a botte, secondo me è uno che apprezza l’onestà. E invece Deathgasm è uno slasher metallaro come quelli di una volta, fatto con due soldi e tantissima passione, furbo e divertente e molto ironico. Grandissimo il regista che è stato tecnico degli effetti speciali e, quindi, dove manca il soldo c’è l’ingegno. Una specie di Tenacious D and the pick of destiny, ma più gore e metallaro e come protagonisti dei giovani raga che anche quando si comportano da stronzi ti fanno un sacco di tenerezza. Non so quanto a lungo avrò la benedizione di ricordarmi com’è avere 16 anni, ma di sicuro non è ancora arrivato il momento in cui non mi piegherò dal ridere alla scena in cui il ragazzino-metal-sfigatello-ma-intelligente usa il dildo di gomma degli zii super-cattolici per uccidere un demone. E di certo non è arrivato il momento perché non adori questo:

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Quindi sì, accipicchia: DEATHGASMMMMMMMMM!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

15. Some kind of merdahate: sì, come avrete capito questo film non mi è piaciuto. Non solo non mi è piaciuto, mi ha fatto proprio arrabbiare, per quei 20 minuti che ho visto (15 all’inizio e 5 alla fine). Il mio corpo, stanco e spossato, si è provvidenzialmente addormentato (purtroppo quello del mio fidanzato e del suo amico no e mi hanno raccontato tutto, perciò posso asserire con completezza che il film era UNA GIGANTESCA SCHIFEZZA E ADESSO GiA` CHE HO IL CAPS LOCK ME LA PRENDO CON NONMIRICORDO CHI AVEVA SCRITTO CHE INLAND EMPIRE ERA UNA CACATA DI PROPORZIONI EPICHE SFRUTTANDO IL FATTO CHE IL TITOLO ERA IN STAMPATELLO. QUESTO FILM NON HA IL TITOLO OBBLIGATORIAMENTE IN STAMPATELLO, MA FA SCHIFO DAVVERO. INLAND EMPIRE E’ UNA FICATA E BASTA). Il regista presenta il film in tutta la sua americanosità, fa gli urletti ma, a differenza del tipo di Deathgasm, inizia a fare un pippone sul bullismo = male, violenza = male ma bene quando è estetica (Tarantino, agisci e combatti per la vera violenza estetica!). Anche qui domina la vicenda un teenager introverso e sensibile con problemi di controllo della rabbia che si sente compreso solo dalla musica metal. Solo che, quando lo vedi, se hai una vaga idea di come stanno le cose al mondo e hai messo piede almeno una volta fuori dall’oratorio (non chiedo che uno non ci sia mai andato, anche io ci sono dovuta andare e mi hanno trovata che tentavo di evadere da un buco nella recinzione del campo sportivo che era talmente stretto che neanche dopo una dieta a soli pacchetti di Dietorelle – quelle della pubblicità anni Novanta delle ragazze che passano attraverso i buchi dell’affettauovo, per intenderci – ce la si poteva fare) ti rendi conto che lui si approssima solo alla descrizione di una grossa piaga musicale e sociale: l’emo (vedere reperto A).

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Indovinate chi e` il tristo “metallaro”

Altro problema. Emoboy (non ho voglia di googlare il nome del protagonista) viene spedito a un campo di gestione della rabbia dopo aver picchiato un bullo e non c’è uno che non  abbia l’outfit finto straggiato che mi fa prudere gli occhi. Il consulente di moda pensa che Kate Moss sia punk e quindi li veste tutti come lei. No! Per il resto non spoilero perché dovrei raccontarvi cose che mi hanno raccontato e sarebbe una misura indiretta di quanto la trama valga meno di zero – e solo un mio parere, comunque. Posso esprimermi solo quello che ho visto e il senso che ho colto: la critica urlata e sguaiata al bullismo mi sa di falso e mi infastidisce per il modo pretestuoso in cui viene usata, un po’ come i film in cui si usa l’argomento cancro o malattia con sottofondo di musica struggente per farti piangere e dire “che storia toccante”, ma dall’argomento “malattia” e della profondità con cui potrebbe essere esplorato non ti porti a casa niente (invece MH in Amour ha capito benissimo cosa doveva fare, probabilmente perché ha fatto quello che voleva – grazie Michelino). Comunque non so nemmeno perché me la prendo così tanto: ho dormito i 4/5 del tempo e sono fresca e riposata per la prossima giornata.