23/07/1967 – 02/02/2014: Addio, Philip

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

(W. H. Auden)

PSH1

Philip Seymour Hoffman era un grandissimo talento, un genio, un vero artista. Il vuoto da lui lasciato nel panorama cinematografico sarà sempre incolmabile e ci saranno decine e decine di ruoli che non avrebbero potuto essere interpretati da nessuno all’infuori di lui. La delicatezza con cui portava le tematiche più drammatiche e controverse sullo schermo, con una naturalezza in grado di annullare la distanza tra pellicola e spettatore che difficilmente può passare attraverso le parole. Non ho intenzione di parlare di come Philip Seymour Hoffman se ne sia andato: voglio attenermi al «la morte è oscena» di Popper, al rispetto per il lutto e il dolore cui, come semplice spettatrice, non posso completamente accedere. Quello che posso e che voglio fare è piangere la perdita di un attore fenomenale (e un regista di grande talento) cui in larga parte devo la mia passione per il cinema. Ho sofferto con lui guardando Love Liza (Todd Luiso), in cui la possibilità di avere una risposta a una domanda dolorosa era più terrificante dell’abisso del dubbio. L’ho adorato in Magnolia (Paul Thomas Anderson; per essere precisa: l’ho adorato in ogni singolo film di PTA), dove con la sua dolcezza e quel sorriso increspato di malinconia che spesso lo contraddistingue mi hanno fatto strizzare lo stomaco e il cuore e sono stata solidale con lui mentre guardavo Il Dubbio (Shanley) – non poteva essere colpevole! Anche perché essere solidali con il personaggio di Meryl Streeo era pressoché impossibile – e l’ho temuto in The Master, sopraffatta dal sua carisma e dalla sua bellissima voce (anche a occhi chiusi il film restituisce un personaggio di una potenza esagerata). Sono stata affascinata dal suo apparentemente frivolo ma ipercomplesso Truman Capote, in cui restituiva tutta la vitalità del personaggio ritratto da Capa e Cartier-Bresson, tra gli altri. Sono rimasta incantata dalla sua interpretazione in Hollywood, Vermont (David Mamet) e sconvolta dal suo ruolo in Happiness (Todd Solontz), il cui titolo terribilmente ingannevole è solo l’inizio di un lacerante viaggio all’interno delle più profonde debolezze dell’essere umano. Durissimo in Onora il padre e la madre e bellissimo in Una fragile armonia, in cui interpreta un secondo violino – anche se per me era decisamente il primo. Non so quanto la sensibilità, la profondità e la bellezza che io – e credo molti altri – ho intravisto dietro ai ruoli da lui interpretati fossero parte di Philip Seymour Hoffman persona – anche se mi piace pensare che, ogni volta, ci abbia lasciato intravedere un po’ di sé, soprattutto nel suo sguardo onesto e nel suo sorriso melanconico -, ma ogni singolo fotogramma della sua vita filmica è stato un grande regalo di cui gli sarò grata in eterno. Grazie, Philip.

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